giovedì 26 aprile 2012

160 milioni di euro per sbagliare due rigori

160 milioni di euro per sbagliare due rigori. Il calcio poi è anche questo. Ma ce n'era bisogno?

Ho mal di schiena: è ora di comprare una scrivania, ovvero di trovare un lavoro. E se ho mal di schiena è perchè lo sto ancora cercando. Figurati quando lo troverò.

Quand'è stato che ho iniziato ad iniziare dei post e... no aspetta, con sto italiano del cazzo non mi spiego neanche a me stesso.
Quand'è che ho cominciato a iniziare i post e lasciarli li, senza finirli? E' o non è una brutta tendenza? E soprattutto... un bel chissenefrega no?
Ma questo non finirà perso nell'etere e nell'internet e nell'eternit del mio vicino di casa. Del mio ex vicino di casa.

Quant'è potente sta cosa dell'ex, due lettere, una sillaba sola, un suono solo... è latino? E' diventato anche inglese. O italiano.
Ex.

Ex ragazzo. Ex lavoro. Ex vicino di casa. Ex coinquilino. Ex macchina. Ex macchina? Qualcuno ha mai detto "la mia ex macchina" ?

Credo che stavolta sia un po' diverso. Oh - direte voi - è sempre diverso.  Oppure - è sempre diverso. Ma stavolta, per forza, è diverso davvero.

Ripenso anche a quella storia di quanto sia assurdo conoscere una persona a Londra, che avevi già indirettamente conosciuto una vita fa. Quando tu non stavi a Londra, ma eri completamente e magnificamente inserito nel binario centese come la Overground. E invece, quest'altra persona se ne stava in giro per il mondo.
Coincidenze. Statisticamente non sarebbero rilevanti.
Si, ma anche statisticamente dovrei trovare lavoro.

La disoccupazione è un mostro terribile - anche la sottoccupazione - anche tutto il resto che circonda questi mondi.

E poi - ma cos'è? Ho 5 anni? E chiudiamo tutto così.

Brindiamo all'eterno ritorno. E un pochino anche al mal di schiena.


P.S. non so se ve ne siete accorti, ma non ho detto assolutamente nulla e ci ho pure fatto un post. Inutile come un rigore sbagliato. Però utile tanto quanto un rigore di Cristiano Ronaldo, a quanto pare.

giovedì 5 aprile 2012

Dovrò anche comprare una moka

E ho pure un po' di freddo.
Non si capisce perché, anzi, si capisce benissimo, ma questa è la stanza più fredda della casa. C'è una enorme simil bow window, dal quale entra tutto il freddo di Londra. Tipo anche i 6 gradi di stamattina.
Solito cielo grigio londinese, ma dopo una settimana di quasi sole continuo è anche giusto così. Non è mica la California, qui.
Solo che c'è freddo, il termo è acceso ma è freddo, e non capisco se quell'acqua che ogni tanto entra è giusto per non farlo intasare di calcare. Spero la temperatura esterna migliori, non mi va di cagare subito la minchia al landlord per far alzare il termo quando, evidentemente, in tutte le altre stanze va bene così, compresa quella di sopra che è simile alla mia come estensione della finestra.
Io, e il mio tavolino basso, che è l'unico posto per mangiare visto che il cucinotto è nello stile "ti fai da mangiare poi vai nella tua stanza".
E io devo mangiare come un cristiano, cioè seduto. Seduto ma non troppo piegato, sennò con 'sto cazzo di tavolino basso c'ho un angolo tra la schiena e le gambe di tipo 70 gradi invece dei 90 canonici, e senti la cintura delle braghe che ti spinge nello stomaco con quell'effetto "sto vomitando e sto talmente male che nemmeno mi posso slacciare la cintura".
Sennò, di tavolino alto, c'è la cassettiera. Che però non ti permette di infilare le gambe sotto, perchè in fondo è una cassettiera, e o togli i cassetti e resta comunque l'intelaiatura, e poi dove li metti i cassetti? E allora ti rassegni e ti limiti ad usarla come scrivania, con il risultato opposto, ovvero scrivi da gobbo perché non hai da mettere le gambe sotto.
Mi verrà a breve il mal di schiena.
La stanza è bellissima e grandissima, certo, e andrà anche arredata un minimo in più: ma prima, un lavoro. Un lavoro per pagarla, un lavoro per arredarla.
E invece sono qui con a fianco questo tavolino con un piatto ancora sporco di risotto pseudoindiano scaldato al microonde con un riso pure insipido... (cazzo, che è pure difficile che un riso sia insipido, vuol proprio dire che era fatto di gomma) e la tazza vuota.
E dentro al piatto sporco, la busta del the, e cucchiaio e forchetta. Dovrò lavare tutto, ma prima dovrò comprare la roba per lavare. Che scena di degrado. E da questa bellissima finestra, sporca, e comprerò anche un similglassex, se serve, perchè non so se lo sporco sia fuori o tra i due vetri, vedo sto cielo grigissimo, e qualche passante, perché siamo ad Acton, e se passa qualcuno alla mattina sono solo mamme e pensionati.
Forse è davvero nel "dolore bohémien" che gli scrittori danno il loro meglio. Perché alla fine, sintetizzando grezzamente, se uno avesse "da scopare" (anche in senso metaforico) forse non perderebbe tempo a scrivere. O forse non avrebbe niente da scrivere.
O forse no, ma voglio andare a fondo a sta cosa, almeno capire "cosa c'è dall'altra parte".
Perché comunque quando sei troppo dentro al dolore bohémien forse non hai nemmeno il tempo o la voglia di metterti lì a scrivere.
E quanto costa scrivere? Quanto costa un mio romanzo? Nel senso di quanto mi costa? Quanto guadagnerò? E' un investimento che vale la pena?
Ma è giusto che uno rinunci a una cosa solo perché non ne vale la pena? E' giusto che l'arte o presunta tale venga fermata dai meccanismi del mercato?
E' giusto che il successo di uno scritto dipenda molto dal prezzo di copertina?
E poi non potrò andare avanti sempre così, a fare investimenti su presunti spostamenti che non tornano mai.
Quando devo caricarmi mi dico "che ho scritto una bomba", ma senza bisogno di cariche obiettivamente ho scritto un buon libro, e non so quanto possa valere un buon libro in una vita intera.
Ora che il tempo libero si ridurrà vistosamente, ora che mi vedrò costretto anche a smettere di seguire da lontano alcune realtà (ma non tutte), ora che dovrò fare le mie scelte ed essere pronto alle conseguenze.
Ora che sarò solo in maniera diversa, e se arriverà qualcuno, sarà una storia di bus, metro, treni e caffè. Caffè, caffè, caffè.
Dovrò anche comprare una moka.

In realtà io sto bene, nel complesso sono anche di buon umore, anche le mattine uggiose ce le hanno tutti soprattutto i meteoropatici come me con la pressione bassa. E' che avevo voglia di raccontare questa cosa qui. Mi dicono che in realtà si può anche scrivere di cose un po' soleggiate, e ci credo.
Penso anche di essere pronto per smettere. O per iniziare. ;)
E l'unico raggio di sole che sbuca ora, è nella mia testa. Per fortuna.

No, non è quella di casa mia, ma ci assomiglia.


mercoledì 21 marzo 2012

tre post che non ne fanno uno (e sono per giunta vecchi)

CITAZIONI

"Yeah you bleed just to know you're alive" (Goo Goo Dolls - Iris)

"A heart that hurts, is a heart that works" (Placebo - Bright Lights)

"E' meglio una delusione vera di una gioia finta" (Neffa - Il mondo nuovo)


MI SONO ROTTO IL CAZZO
Mi sono rotto il cazzo delle indie-girl da pianerottolo, provinciali come la porchettata parrocchiale di Santostefanodistocazzo.
Mi sono rotto il cazzo delle ragazze che siamo amici il giorno che l'han stabilito loro, ma chi cazzo l'ha detto?
Mi sono rotto il cazzo di chi ha dimenticato che prima di essere me stesso sono un uomo e ho un cazzo tra le gambe, e prima di avere un cazzo tra le gambe, sono una persona.
Mi sono rotto il cazzo dei poteri antidemocratici di facebook.
Mi sono rotto il cazzo delle persone che hanno paura, paura di loro stesse prima di tutto, e sono le persone che sorridono sempre da tutte le parti e poi chiudono facebook e iniziano a piangere. Mi sono rotto il cazzo delle falsità, dei teatrini, del "è così che deve andare", del buonismo, del politically correct.
Mi sono rotto il cazzo di questo Paese. E anche di questo paese.
Mi sono rotto il cazzo degli artisti, o presunti tali, per i quali tutto è arte.
Mi sono rotto il cazzo delle polemiche sugli arbitri, delle polemiche sulla rubentus, della juventus e del milan. E soprattutto mi sono rotto il cazzo di quelli che le fanno.
Mi sono rotto il cazzo di Ed Sheeran ancora prima che inondi questo Paese.
Mi sono rotto il cazzo anche di essere ignorato da un paese e da un Paese.



BERLIN CALLING
- Berlin Calling è un film cult. Nel senso che non è un bel film, intendiamoci, ma è un film cult.
- Il protagonista è DJ Ickarus (Paul Kalkbrenner, famoso DJ tedesco, ancor più famoso dopo questo film), un silenzioso DJ a cui piace indossare le magliette vintage delle nazionali di calcio, accompagnato da una morosa-assistente che balla di fianco a lui dietro la consolle. Già si intuisce dove saranno i problemi. Non nelle magliette, nella morosa.
- Il film è farcito da diverse paia di tette ignude (ne ho contate 5) (5 paia) e diversi rapporti sessuali (anche lesbo e a 3).
- Gira anche parecchia droga, ma va beh, quello era scontato.
- L'ambientazione berlinese è minima e minimal, tanto che il maggior punto che vi permette di identificarvi con la città è la stazione della metro di Alexanderplatz (la parte sotterranea, ovviamente).
- Tra le magliette di DJ Ickarus possano annoverare quelle di Germania, Argentina, Francia, Olanda, Inghilterra, Portogallo, Uruguay, Brasile, Hertha Berlino, Milan (sponsor Mediolanum), Juventus (sponsor Upim) e Inter (sponsor Misura). Inoltre possiede anche una felpa del Milan (bianca, sempre epoca Mediolanum).
- Mentre è nella metro (la U-Bahn), DJ Ickarus registra con il suo iPhone il cicalino di avvertimento di chiusura porte e poi decide di riprodurlo sulla tastiera per crearne una melodia in un suo pezzo. Il "jingle" è talmente semplice e famoso che non c'era alcun bisogno di registrarlo per ricordarselo, soprattutto per un berlinese (e lo dico io che dopo 3 giorni di vacanza l'ho imparato a memoria e ancora me lo ricordo).
- L'album che DJ Ickarus tenta di far pubblicare dovrebbe essere intitolato "Titten, techno e trumpeten" (Tette, techno e trombe), ma viene cambiato dalla casa discografica in "Berlin Calling".
- Era decisamente meglio Tette, techno e trombe. O al limite trombette.


domenica 26 febbraio 2012

quando apri lo scatolone dei ricordi

Succede, anche a non volerlo. Succede che cerchi un biglietto. Un vecchio biglietto. Ma il motivo è un altro discorso.
Però lo cerchi e sai che è li. Nello scatolone.

(Intendo, il biglietto di un concerto.) (Lo so che è strano cercare il biglietto usato di un concerto, ma davvero, questa è un'altra storia)

Non gli ho mai dato un nome. Lo scatolone. E' li da una vita. Una vita sono due anni e mezzo: da quanto ho cambiato stanza.
Lo scatolone è un cubo di 40cm di lato, una roba che neanche Easyjet imbarcherebbe come bagaglio a mano.
Dentro c'è il contenuto della mia scrivania, prima che la trasferissi nell'altra stanza. Esattamente, nemmeno io ricordo cosa ci sia all'interno, in tutti quei cm cubi di polvere. Non l'ho quasi mai aperto, negli ultimi due anni e mezzo.
Ma posso dire con certezza che non l'ho mai svuotato. Non so più, esattamente, cosa contenga.
Infatti, la mia scrivania (prima del trasloco) era un aggregato stratificato per data di fogli, oggetti, biglietti, scontrini, e quant'altro. A loro volta, raggruppati in cestini e cestelli.

Ma mi serve quel biglietto. E per quanto quello scatolone colorato (conteneva un mobilino portaoggetti in plastica) sia ormai diventato un vero e proprio mobiletto, che più di una volta ho utilizzato per appoggiare i miei vestiti, è ora che esca dalla mia stanza.

Di solito faccio queste cose con un bel cd vecchio, tipo gli Oasis, e sono quei momenti in cui fai un po' il bilancio della tua vita, o ti prepari a chiudere un periodo per riaprirne un altro, e mi faccio un sacco di pare e pensieri su me che cresco, che invecchio, e i ricordi, e il passato, ecc ecc blablabla...
Stavolta, un cazzo. Prima lo faccio in silenzio, poi metto su l'iTunes DJ e vado di Subsonica, John Mayer, Gorillaz, e tutto quel che capita. Nuova era? Chiudere col passato? Ricordi? Nostalgia?

Io e lo scatolone. Appena ribattezzato "lo scatolone dei ricordi". Uno di fronte all'altro.
Tre, due, uno. SVRAAAN. Aperto e svuotato sul tappeto.

La prima cosa è polvere, polvere, polvere, ma tanta di quella cazzo di polvere che per fortuna che devo ancora fare la doccia e ho già indosso dei vestiti sporchi.
Poi spuntano subito gli oggetti più grandi: una pistola (a pallini), un salvagente (ancora da gonfiare), un foglio di pluriboll, un cartoncino, e una cartina di Ferrara. O di Faenza? Ah no son due: una di Ferrara e una di Faenza.

Ho occupato un intero tappeto (140 cm x 130 cm) di polvere, e principalmente, fogli e foglietti. C'è di tutto, e quando dico di tutto, intendo... di tutto. Dal 2002 al 2009. Non è tanto un best of della mia vita, quanto una sorta di highlights.
L'elenco iscritti del campo parrocchiale superiori di Segonzano 2004.
Lo scontrino della prima volta che sono stato al bar Edda con Sorio, nel 2008.
Biglietti di treni: Trento, Cesenatico, Venezia... compreso quello per andare a La Spezia con Diago e quelli per tornare da Torre Pedrera (famosi per un episodio passato ai posteri come "La controllora").
Biglietti di concerti. Subsonica, Oasis, Ligabue, Coldplay, U2... ma anche Dave Matthews, Tre Allegri Ragazzi Morti, Ben Harper, Francesco Renga, Apres la Classe. E altro: Oblivion, Alessandro Bergonzoni, Bologna-Juventus.
Abbonamenti alla Benedetto, rigorosamente in Fossa (che si chiama "Parterre"). Tessere Akkademika e tessere ARCI.
La trascrizione originale della Scala Sessuale Sacchi in 13 punti, che gli fu dettata dal cielo sotto l'effetto alcolico della birra durante l'intervallo di Real Madrid-Juventus nell'aprile 2003.
La cartina di Lloret de Mar, di quando sempre nel 2003 mi persi sotto la pioggia (anche io sotto l'effetto di birre. e non solo.)
Biglietti di autobus, metro, aerei, di viaggi, da solo, con amici, con ex. La lettera di una ex. (che poi cosa ci faceva li? di solito sono tutti da un'altra parte)
Il mio finto compleanno alla GMG di Colonia nel 2005 con tutti gli auguri sotto un sottobicchiere. La lettera che fece piangere l'Ilaria Rondini al campo di Fontanelice 2004 (dopo di me ci riuscì solo Giovanni Paolo II, ma per farla piangere gli toccò morire. Sono l'unico vivente riuscito nell'impresa). La lettera di Suor Francesca dopo il campo di Fontanelice 2004.
Qualche foto.
Guide turistiche Etiopi. Una bottiglia d'acqua etiope. Vuota, ovviamente.
Documenti dell'assicurazione della macchina. E delle mie due banche. (quella vecchia, e quella nuova).
Fogli di giornali. Miei vecchi articoli. Playlist degli Alpha Alpha. Poesie. (POESIE? giusto un paio, ma ci sono anche quelle, oh yes.)
Santini. I messaggi dei miei ragazzi dei campi del 2009. Un paio di spille, compresa quella di Tempo al Libro e degli Ex-Otago.
Gli elastici usa e getta di un apparecchio. (quelli non usati e non gettati). Il mio preservativo portafortuna. (scaduto e ancora chiuso).
Un credito di 2,60 euro presso una cartolibreria di Cento. Un paio di biglietti dell'autobus non utilizzati ma ormai scaduti.
Gli abbonamenti dell'autobus dell'epoca universitaria. Il biglietto da visita del Bagno Marte 21.
Quattro buste paga del 2008 (che avevo date per disperse).

Una buona parte di questi oggetti sta venendo cestinata, direi circa un 50%... il resto lo sto archiviando, tra portadocumenti, scatole di ricordi, album di biglietti e foglietti. E poi comprerò un mobiletto più serio, forse. O forse no.

Nuova era? Chiudere col passato? Ricordi? Nostalgia?

Sinceramente niente di tutto questo. Non saprei spiegare questa sensazione, e visto che nessuno me l'ha chiesto, non vedo neanche perché dovrei spiegarla.

Abbiamo tutti 26-27 anni, internet, e i voli ryanair, e se davvero vuoi vedermi, chiedimi di uscire.

(ma che cazzo di finale è?)


P.S. poi mi fan notare che qualcuno me l'ha chiesto... ed è vero. beh, a chi me lo chiede però rispondo sempre. a domanda rispondo. chiedere è lecito, rispondere è cortesia, e non ci son più le mezze stagoni. :)

mercoledì 8 febbraio 2012

Non si può morire a Ferrara

16 marzo 2009, Ferrara

Non è un bel posto l'obitorio. Già il nome fa un po' cagare. Obitorio.
La madre di Giulio percorreva il corridoio con quella disperazione che solo una madre può avere in quel climax di tensione che precede il formale riconoscimento del cadavere. Ma c'è poco da riconoscere quando il defunto è morto con la carta d'identità in tasca.
"Salve signora. Perfavore, mi segua"
La stanza è molto più brutta di tutte quelle viste su Canale 5. C'è molto più giallo di quello che si possa pensare. Pare già un'impresa di pompe funebri. Anche se quella generalmente arriva dopo, poco dopo.
Uno scatto secco e dalla cella frigorifera esce il cassettone. Con dentro tuo figlio.
Glom.
Silenzio.
"Ommioddio..."
"Mi dispiace, signora... abbiamo fatto tutto il possibile per suo figlio ma era già in coma... e arrivati all'ospedale..."
"Questo non può essere mio figlio... non è così..."
"Lo so, il collasso a volte rende irriconoscibile il corpo..."
"No no, lei non sta capendo: questo non è mio figlio. Perfavore, vi siete sbagliati, fatemi vedere mio figlio."
"Signora... mi piacerebbe dirle che si tratta di un errore... ma questo è suo figlio, non abbiamo confuso il corpo."
"Senta, le dico che questo non è mio figlio."
"Signora... l'abbiamo trovato con i suoi documenti indosso... se non è suo figlio, chi è?"
"Non lo so! E con tutto il rispetto... non m'interessa! Piuttosto, voi mi dovete dire: dov'è mio figlio?"

Suo figlio, che si chiama Giulio, non è certo il gatto di Schrodinger: va da sè, che se non è morto, è vivo.
Giulio è vivo.

"Nella vita si può anche morire, e va beh, mi stava anche bene, ma cazzo, morire a Ferrara... neanche Vasco Brondi ci morirebbe a Ferrara." (Giulio, 16 marzo 2009)