domenica 13 novembre 2016

La mia (in)felicità è un sistema complesso [DET #7]



Eh.
Più o meno esattamente due anni fa, ero a casa mia, su questo stesso macbook, con lo stesso tè, ascoltando gli Smiths e scrivendo.

Sono passati due anni.

Cosa è successo?
Sono cambiate alcune cose, alcune case, la tazza da cui sto bevendo, e nel mentre ho scritto 9 capitoli.
Speravo sarei giunto a pubblicazione, e invece devo ancora finire la prima stesura.

Avevo cominciato un diario sul mio sito www.enricoatti.it e nemmeno quello sono stato capace di portare avanti con costanza.
Per chi mi seguisse da lì: beh, a gennaio il mio sparring partner Sorio è partito, e da lì ho avuto anche alcune cose di vita privata (leggi: trasloco).
E più o meno sono fermo da allora, da quando come nella foto allegata (che non trovo più, e che quindi ho sostituito con un nostro selfie mosso come Gue Pequeno di oltre un anno fa, NDR), stavamo consumando un piatto di qualcosa, a casa sua.
A CASA SUA.
(Anche lui ha cambiato casa. Due volte, se contiamo anche la trasferta parigina).

Gli Smiths sono sempre quelli, però, così come il the Twinings Assam al miele d'acacia, in questi tentativi di provincia di ricostruire una parte di Londra che non c'è più, o che c'è ancora, e che anche se non riesco a creare così, perlomeno riesco a tenere viva.

Tutto qua.

No, non è tutto qua: sono un po' in crisi perché del mio romanzo inizia a convincermi poco la trama, il protagonista, e tutti gli altri personaggi. Sarà la "crisi di mezzo romanzo" anche se in teoria l'avevo già passata, la metà: sarà che contando tutto l'editing che verrà, forse alla metà vera e propria non ci sono ancora.

E niente. Ma ci arriverò alla fine, tranquilli. Volevo solo farvi sapere che è un po' difficile, ora.

Poi io sto bene, abbastanza bene, come sempre, come quasi sempre, ma questo è un altro discorso. La mia felicità è un sistema complesso, figuriamoci la mia infelicità.



venerdì 4 novembre 2016

Tutto Lacetti

(Lacetti, sempre e solo lui.)

Perché faccio cose in cui non credo?
Perché non dico tutte le cose fino in fondo?

Perché sono sdraiato su un pavimento, sopra a un tappeto che dà tono all'ambiente, mentre fuori c'è il sole e gli uccellini fischiano, anche se è inverno?
E' ora di tirarmi su, credo, anche se è troppo presto per guidare. Non ricordo più se c'è una Lacetti ad attendermi, laggiù.
Laggiù nel cortile.

Sembra Berlino, questo posto.

Dove sono stato tutto questo tempo?
Ho persino pensato di smettere di sparare e cambiare vita.
Ma non posso.

Faccio una doccia, mi metto dei vestiti puliti, mi siedo. Mi faccio un caffè.

Perché faccio cose in cui non credo?
Perché non dico tutte le cose fino in fondo?

Queste domande non mi danno pace.
E non ricordo né dove stavo andando, né dove devo andare.



giovedì 9 giugno 2016

La fine dei trent'anni



Avrei potuto avere la casa
la morosa
la macchina
il lavoro
e la vita tranquilla
certo, l'appartamento in affitto
la morosa, la macchina da poco
il lavoro sottopagato ma abbastanza sicuro
in una vita che sicura non era ma lo pareva
in una vita che sicura non era ma pareva tranquilla
e invece no
ora sono a Londra
la stanchezza, il malditesta, la tube che tra 78 minuti chiude
la tipa di Tinder di Hong Kong che neanche mi piace
la condivisione dei malesseri e dei disagi
gli amici che stanno a un'ora da qui ma non vedo mai
la nostalgia di casa, del cibo, degli amici, della famiglia
di cose che da lontano sembrano sempre meglio di quello che sono realmente
ma quanto mi manca una domenica, una sola
e poi ci penso e ho 35 anni e ho preso un'altra strada
un'altra vita
tanto io una famiglia qui non la vorrei
tanto io una famiglia non so dove la vorrei
tanto io una famiglia non la vorrei
la sensazione che non abbia raggiunto niente
la sensazione che non riesca a raggiungere niente
sentirsi sempre fuori dal recinto di dove batte il sole
e sempre questa stanchezza, di fondo
e questo malessere che non riesco mai a monetizzare
come un eterno e continuo zero a zero
eppure io sognavo
eppure io credevo
che prima degli aperitivi
ci fosse stato, o ci possa essere stato
un momento in cui poter scegliere
la gioia
la felicità
qualunque cosa voglia dire
qualunque cosa sia
lontano da questo macchinino dal bancomat
da Hong Kong, dal vino pastoso
dal beep della Oyster
e che in quel momento, lontano nel tempo
io potessi tornare
così, magicamente
e con sequenze di movimenti imparate a memoria
potessi mettere la freccia a destra
controllare che dietro non ci fosse nessuno
accostare
fare manovra
e tornare indietro
e riprendere tutto dal suo punto esatto.
E forse è ancora così
ma la consapevolezza del vino pastoso
e dei minuti che passano
mi porta a sperare che possa chiudere la giornata su Uber
e rimandare a domani
ogni cosa
qualunque.
Ma il vento delle scelte arriverà
e sarà mio compito essere pronto.
Al limite uno prende il bus.




sabato 21 maggio 2016

La Coppa Italia del Napoli (e altri magici avvenimenti a cavallo di metà maggio)

La dissenteria, tutte le volte che hai detto no, tutte le volte che ti sei promesso di dire no, vai a prendere il tuo cellulare in macchina, stai tranquilla sono io, tutte le cene con i vicini che per fortuna non ho mai dovuto fare, i comò che nascondono i miei corredi, gli armadietti svuotati, i palazzi bianchi e rossi, la passione per lo sport, le strategie fuori luogo da prevenire, le case che non vuoi, le cose che non vuoi, lo svuotamento dei frighi, la gente che torna a casa tardi la sera, il malessere privato che confluisce nel lavoro, il malessere lavorativo che confluisce nella vita privata, la ggende che odia i ggender, i ggender che odiano la ggende, io che odio tutta la ggende di ogni ggender, il lunedì mattina a Dugommier, il martedì pomeriggio a Bentivoglio, i salotti diversi, i giorni dove sembra che le abbiano radunate tutte lì, i segnalibri che le pagine non le volti più, i discorsi da lasciar perdere e quelli da riaffrontare, la gente che è caduta in aereo e quelli che sono caduti sotto un capannone, le case editrici, e dirsi ciao.

E mancano ancora due giorni alla fine di questa settimana, le cose sono lunghe in maniera diversa.
E sono stato male poco ma mi è bastato per capire quanto mi farebbe stare male lo stare male a lungo.




domenica 31 gennaio 2016

Sliding Doors (la sedia, il piede, il gas)

1. 11th

Ho realizzato solo recentemente di quanto quella stanza fosse vicina a dove hanno sparato. Uno dei posti sono andati a sparare.
Quattrocento metri in linea d'aria. Il suono viaggia a 360 metri al secondo, che io ricordi, senza dover cercare su wikipedia.
Li avrei sentiti - li avremmo sentiti, tutti.
Li hanno sentiti tutti, in fondo.

Non ha molto ragionare sul "potevo esserci io - potevamo esserci noi". Forse io non sarei mai andato in posti del genere. Ma potevo semplicemente esserci portato da qualcun altro. O passeggiarci davanti.
In fondo potevamo esserci davvero tutti, li. Perché un weekend via in una metà turistica può capitare a tutti, e per fortuna che è così.

Ma pensare che potesse essere davvero così vicino a quel luogo mi ha fatto pensare. Il letto, la scrivania, la sedia. Per me quello è sempre stato un luogo di amore. Al limite, toh, mi era caduto uno specchio di 2 metri in testa, ma cosa vuoi, cose che capitano.
Ma non pensavo che si potesse sparare. Cioè giù vedevo facce losche, ma vabbè, è lato scuro e oscuro del meltin pot.
Ma gli spari. No. Gli spari no, dai. Non li. Non da me - non da noi.


2. Sliding Doors

Ho realizzato recentemente di come diverse coincidenze mi abbiano portato dove sono. Serate, biglietti, eventi, si/no. E uno non ci pensa mai abbastanza. Per un sacco di volte uscire non uscire di casa non ha cambiato un cazzo. E poi pensa a chi magari voleva stare a casa dal concerto degli Eagles of Death Metal. E invece è uscito. E non è più tornato.
E invece è così, fai scelte di continuo, alcune influenzano la tua vita più di altre. Senza che tu lo possa sapere. Nè prima - nè dopo.


3. Flat Out

Alex Zanardi ha vinto 2 titoli Cart (la F1 americana) e 2 medaglie d'oro alle Paraolimpiadi. Giusto per citare alcune tra le cose importanti che ha fatto nella vita. Mica cazzi, per intenderci. Alex Zanardi nella sua autobiografia (parziale, perché sarebbe da aggiornare ogni 12 mesi) scrive che negli Usa dicono "if in doubt, flat out". Terra terra, significa "nel dubbio, dai gas".
E intendiamoci: Zanardi questa cosa l'ha scritta dopo aver perso due gambe. E le ha perse perché quello che è arrivato dietro di lui, nel dubbio, ha dato gas.
E nonostante questo, Zanardi, l'ha scritto. L'ha messo nella sua autobiografia.
E attenzione: Zanardi non è scemo. Se ha scritto questa cosa, se ha perso "solo" le gambe e non anche l'osso del collo, se ha vinto titoli e medaglie in diversi sport, è anche perché il piede ha saputo alzarlo.
Nel dubbio, dai gas. Nel dubbio. Ma un bravo pilota ha pochi dubbi. Un bravo pilota quasi non ne ha. E un bravo pilota sa quando il gas va tolto. Quando il piede va alzato. Sulle monoposto come sulle hand-bike. Come nella vita.

Ecco io credo che a malincuore il piede vada staccato in certi momenti, con la consapevolezza poi di dover rimangiare decimi e decimi pestando giro dopo giro. Ma è l'unico modo per arrivare alla fine. E vincere. Senza perdere l'osso del collo.


martedì 19 gennaio 2016

Lacetti - No car for old men

Da qualche parte, altrove, Lacetti...

"Ancora 8mila, forse 10mila miglia, ma poi è questo ferro è da buttare" mi fece Greg, con le mani sporche di olio.
"Quanto mi costerà?"
"Ah, non meno di una Escort al centro di Soho" si mise a ridere.
"Cosa intendi con Escort, esattamente?"
"Quando parlo di Escort parlo di una RS Cosworth, niente di meno. Roba da 200 cavalle."
"Cavalle?"
"Cavalle, hp di razza."
"E 200mila pound?"
"Non meno di 200, ci puoi giurare."
"E ci posso girare?"
"Di sicuro più che su questa Lacetti. Comunque già al sud di Matera conosco gente che ancora pagherebbe qualche pezzo per avere questo ferro sotto il culo."
"Qualche pezzo?"
"Si, hai capito."
"E perché?"
"Non fare domande di cui non ti serve la risposta. Se ti interessa fammi sapere. Sei Lacetti anche senza Lacetti."

E aveva fottutamente ragione. Sputai tabacco sul marciapiede. Sono Lacetti anche senza la mia Chevy Lacetti a farmi venire il tetano.
Così me ne pensavo mentre accendevo il ferro e spingevo allegramente verso Ovest.
Venivo da un lungo periodo lontano dalle bottiglie, dopo i fasti infausti dell'est. La mia Topolina di San Pietroburgo era scomparsa, o forse non era nemmeno mai esistita, e così aveva dovuto capire il da farsi.
E fu sul viaggio di ritorno, che la vidi, muoversi come una gattina incuriosita. Era la mia Charlotte Gainsbourg, e fanculo l'est, avrei dovuto seguire quel profumino francese.
Vieni a Parigi, mi disse.
Con cosa cazzo ci pago l'aereo, le risposi.
Non ce l'hai una macchina, osò ribattere.
Mi piaceva il suo cazzo di caratterino francese, avvolto in un trench come un manichino di H&M quando arriva settembre.
Non avevo bigliettoni per quei voli della minchia, ad essere onesto, ma sapevo che avrei inventato qualcosa con il mio ferro. Probabilmente mi avrebbe abbandonato di fronte ad un casello, con una saccoccia di monetine nella mano per il pedaggio, ma dovevo tentare a tutti i costi questa trasferta.

Dovevo seguirne la scia, e tentare di guadagnare un metro alla volta. Solo così potevo pensare di arrivare a lei. Non sarebbe stato assolutamente facile, ma era l'unico modo per garantirmi un futuro. I bigliettoni cominciavano a terminare, e a Parigi c'era un qualche lavoro dei marsigliesi pronto ad aspettarmi.
Forse John si sarebbe deciso a venirmi a trovare, anche se non sopportava l'idea di trovare tutte quelle BMW ad aspettarlo.
Mi sarebbe piaciuto tornare a lavorare con lui, era un cazzone di prim'ordine, ma di quello che sanno come fare un lavoro fatto bene.

Mi sistemai per bene i gioielli sul sedile, e buttai la quinta, inserendomi nella carreggiata, verso Ventimiglia, la Mille Miglia, e tutte le altre corse che mi avrebbero atteso al traguardo.