lunedì 11 giugno 2018

Dieci, cento, mille... random facts about Cento.


1 giugno 2000, Cento
Sono in Piazza Guercino, sotto al portico del bar Uno Più, insieme a mezza Cento, a guardare Ovito Scafati - Baltur Cento, finale playoff di B, valevole per la Serie A2 di basket.
Io ho 16 anni, indosso una polo rossa, non griffata Benedetto XIV... intorno a me qualche maglia dei tifosi (la vecchia Fossa dei Leoni biancorossa), ma più che altro gente in borghese... in serie B non va ancora molto il merchandising e la vendita di abbigliamento griffato, ed è troppo caldo per le sciarpe.

Il Comune di Cento ha allestito un maxischermo in cui viene proiettata la partita, trasmessa da Rai Sport... siamo a pochi secondi dalla fine e stiamo vincendo di tre.
I secondi passano... il cronometro sta per segnare zero no? Abbiamo vinto, no? Adesso uno tira ma va fuori, no?
No.
Rossi, numero 8 di Scafati, mette una tripla. Parità. Supplementari.
Ma come ti riprendi da una botta così? Sei a pochi decimi di secondo dalla A2. E bum, ti si allontana, così.
E ovviamente ai supplementari abbiamo perso.

E dire che i ragazzi si erano ossigenati i capelli come andava di moda all'epoca, come avevano fatto anche i calciatori della Romania, per esultare per essere nei playoff invece che nei playout.
E invece, da numero 8 avevamo buttato fuori gli storici rivali di Ferrara, che arrivò prima nella regular season, vincendo a casa loro, con una bomba di Carchia a due secondi dalla fine. Che notte quella notte.
Dopo un cammino così, da outsider, devi andare su.
Addirittura un pullman di 51 impavidi era andato fino a Scafati. Scafati è in là, eh... poi con i pullman che si sceglieva la Fossa...

...insomma, era una favola, a cui all'ultimo secondo è mancato il lieto fine.
"Se non è successo quest'anno, non succede più..." mormoravano i vecchi in piazza, tra una bestemmia e l'altra.

Da 00'22" , l'azione che ci ha tolto l'A2.


Quando ripenso a quel giorno, di solito mi viene da pensare a tutto quello che c'è stato dopo... ma oggi mi viene da pensare anche a tutte quelle cose che ci sono stati prima.
Si, si parte ovviamente da Mons. Baviera e dall'oratorio di San Biagio... da sempre acerrima "nemica di campanile", per me che sono penzalino, ma a cui va dato questo merito. E anche dall'altrettanto indimenticato Don Bruno.
E poi ci hanno già fatto un libro sui 54 anni che ci dividono dal 1964 e dalla fondazione della Benedetto XIV, quindi non ha senso andare ad aprirlo per leggere tutti i nomi.
(Ma lo farò lo stesso per evitare di fare errori ed essere poi corretto e cazziato da Maretti, come se fosse Antani, per due).

La mia storia con la Benedetto comincia prima che io nascessi,  praticamente fin dall'inizio, perché mio padre l'ha seguita da sempre... come tifoso, collaboratore, bigliettaio, e... manovale, quando nell'81 c'era da ristrutturare in fretta e furia la Palestra della Giovannina perché la palestra delle medie non era pronta per la serie C.
(Mi ricorda qualcosa... la storia si ripete.)
(La Palestra della Giovannina è più o meno la stessa dal 1981).
E insomma, non ricordo la prima volta che andai al Palazzetto, ma i primi ricordi sono di me da bimbo che scorrazzavo per il bordo campo insieme ai figli degli altri tifosi genitori... esattamente come accade ancora oggi.

I primi ricordi che ho sono quelli di Pol Bodetto, che per me era una cosa mitologica, al pari di un Roby Baggio... e della prima promozione in B, che poi era B2, ma B2 è B, no? (Anche questo mi ricorda qualcosa... qualcosA.)
La società regalò come gadget il portachiavi rettangolare smussato biancorosso tagliato a metà, che se lo giravi... diventava un cuore. Un cuore biancorosso.
Poi ce ne sono stati tanti, di giocatori. Da Bobicchio fino a Di Monte, passando da Carchia e Masieri (entrambi miei vicini di casa... potrei raccontare tanti aneddoti sul cane di Carchia e su come parcheggiava Masieri, ma sono cose che serbo morbosamente nel mio cuore), Moffa e Binelli... ma anche Rorato, Binetti, Beghelli... o gente come Raggi, Bossi, o i fratelli Bretta, Frenchu Malaguti... ognuno di quelli che è entrato in campo, anche se per pochi secondi, fa parte di una squadra, e di una storia.

Quindi penso anche al 2011, quando ero ancora a Londra, e qualcuno si mise in testa di rimettere in piedi tutta questa baracca. Allora c'era un certo Michele Manni, e c'è anche oggi. Perché non ci sono solo quelli in campo... a metttere il loro mattoncino, ci sono anche quelli fuori dal parquet.
(Anche se Manni tecnicamente è spesso sopra il parquet, seppur seduto.)
Tutti i volontari a vario titolo, tutti i collaboratori, tutti quelli che molte volte gratuitamente, hanno dato qualcosa, per questa squadra.
Io e mio fratello abbiamo giocato nelle giovanili (in realtà io mi sono fermato con risultati scarsissimi al mini-basket), per poi diventare collaboratori... mio nipote si è dedicato al baby-basket, per un po'. E sono già tre generazioni... come la mia famiglia ce ne sono tante altre, a Cento, che hanno un sangue biancorosso.

Ci sono poi i tifosi, quelli come mio fratello e tanti altri... come diceva Maretti, quelli che si sono sempre fatti un sacco di trasferte lontanissimo, in palasport che più che altro erano palestre con tribune, in posti dove i piccioni cagavano dentro (tutto vero), trasferte "inutili" che non contavano nulla per la classifica, ma se le sono fatte... in pullman, in auto, in aereo, anche migliaia di chilometri in giornata... mentre morose, mogli, amici, colleghi erano dietro a chiedere "ma chi te lo fa fare?".
(Uh, anche morosi, mariti, amiche, colleghe... c'è anche una bella quota rosa, in curva).
Ma loro, c'erano.
Io non ci sono sempre stato, ho avuto le mie fasi, diciamo, legate ad età, impegni, lavori... e anche spostamenti. Ma l'ho sempre seguita. Anche quando ero a Londra, e dopo il terremoto, siamo saliti dalla C alla B.
C'ero a mio modo, se vogliamo dirla così.

Sabato, a Montecatini non erano i 10 (che poi ormai sono diventati 12) del referto.
Non era 100, intesa come città.
Non erano i 1000 e più tifosi.
Era un'onda lunga, di decine di migliaia di persone... e tante non ci sono nemmeno più. Se credi nel paradiso, o nell'inferno, puoi immaginartele lì, a sporgersi dalla balaustra di nuvole dal terzo anello del PalaTerme, a cantare, battere le mani, lanciare fulmini agli arbitri e applaudire i giocatori... non so, a me piace pensare a Zimmer che guarda il presidente Gianni Fava, mentre circondato dai giocatori festanti, batte le mani al ritmo di "E ieri sera" (!!!) ... chi l'avrebbe mai detto?

9 giugno 2018, Cento
Ci sono voluti 18 anni, ora ne ho 34... e sono seduto nello stesso portico di diciotto anni fa, sempre con una maglia rossa indosso, stanco, spossato e sudato... ma stavolta felice. L'abbiamo vendicata, abbiamo stroncato una maledizione.

Se potessimo tornare indietro, chi vorrebbe fare entrare quella tripla di Rossi? Nessuno, credo.
Ma se non fosse entrata... questa promozione, sarebbe stata vissuta con la stessa sofferenza? Avremmo avuto la stessa gioia all'ultima sirena? Non credo.
Le sconfitte possono insegnarti a vincere. A noi ne sono servite molte. Si ironizza sempre sulle finali perse dalla Juve in Champions, ma... conoscete tutte quelle perse dalla Benedetto? Nel 2009, ai tempi della fase "Pallacanestro Cento", ci si fece addirittura una maglietta.
Siamo quello che siamo per tutto quello che ci ha costruiti, per il tutto il passato che ci ha temprati, forgiati, appassionati. Per tutte le delusioni che "no basta, non ci vengo più al palazzo" e invece a settembre si era lì a rifare l'abbonamento.
Perché c'è una passione prima di tutto, perché una canotta non è una roba sintetica che puzza di sudore, è qualcosa di più.
Anche per me, che non ne capisco un cazzo di basket, e che so a malapena palleggiare.

E allora perché? Chi ce l'ha fatto fare?
Perché si vive anche per cercare di realizzare i sogni.
Perché era un sogno, e ogni tanto, qualche sogno, si avverA.