mercoledì 8 febbraio 2012

Non si può morire a Ferrara

16 marzo 2009, Ferrara

Non è un bel posto l'obitorio. Già il nome fa un po' cagare. Obitorio.
La madre di Giulio percorreva il corridoio con quella disperazione che solo una madre può avere in quel climax di tensione che precede il formale riconoscimento del cadavere. Ma c'è poco da riconoscere quando il defunto è morto con la carta d'identità in tasca.
"Salve signora. Perfavore, mi segua"
La stanza è molto più brutta di tutte quelle viste su Canale 5. C'è molto più giallo di quello che si possa pensare. Pare già un'impresa di pompe funebri. Anche se quella generalmente arriva dopo, poco dopo.
Uno scatto secco e dalla cella frigorifera esce il cassettone. Con dentro tuo figlio.
Glom.
Silenzio.
"Ommioddio..."
"Mi dispiace, signora... abbiamo fatto tutto il possibile per suo figlio ma era già in coma... e arrivati all'ospedale..."
"Questo non può essere mio figlio... non è così..."
"Lo so, il collasso a volte rende irriconoscibile il corpo..."
"No no, lei non sta capendo: questo non è mio figlio. Perfavore, vi siete sbagliati, fatemi vedere mio figlio."
"Signora... mi piacerebbe dirle che si tratta di un errore... ma questo è suo figlio, non abbiamo confuso il corpo."
"Senta, le dico che questo non è mio figlio."
"Signora... l'abbiamo trovato con i suoi documenti indosso... se non è suo figlio, chi è?"
"Non lo so! E con tutto il rispetto... non m'interessa! Piuttosto, voi mi dovete dire: dov'è mio figlio?"

Suo figlio, che si chiama Giulio, non è certo il gatto di Schrodinger: va da sè, che se non è morto, è vivo.
Giulio è vivo.

"Nella vita si può anche morire, e va beh, mi stava anche bene, ma cazzo, morire a Ferrara... neanche Vasco Brondi ci morirebbe a Ferrara." (Giulio, 16 marzo 2009)

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