giovedì 17 marzo 2011

Auguri all'Italia che muore (ma che ancora non è morta)

Potevo starmene zitto oggi? No, direi proprio di no. Anche oggi perderò un'altra occasione per stare zitto. Anche se uno dei miei antenati era uno dei Mille, non è buon motivo per aggiungermi al coro di voci del centocinquantenario.
E allora... tanti auguri all'Italia che compie 150 anni.
All'Italia di pizza spaghetti e mandolino. Che il mandolino in realtà non lo suona quasi nessuno, come dice Diago di Sandy The Clown.
All'Italia dei santi, poeti e navigatori. Che sono già tutti morti. (a parte i navigatori di internet, e quelli si chiamano naviganti)
All'Italia delle fughe dei cervelli, delle fughe di capitali, delle fughe di gas, delle (future?) fughe di materiale radioattivo, delle fughe di Ivan Basso e Riccardo Ricco' (prima sulle salite, poi dai giornalisti, poi di nuovo sulle salite, poi...).
All'Italia dei furbetti del quartierino, dei Ricucci, dei Luca Luciani, dei Matteo Cambi, dei Lapo Elkann, e di tutta questa bella classe dirigente qui.
All'Italia dove è sparito il concetto di gavetta e di saper fare, dove tutti vogliono subito andare in televisione a X-Factor, ad Amici, al Grande Fratello, anche senza saper fare nulla.
All'Italia dov puoi essere un bravissimo musicista-scrittore-cantante-pittore-poeta o artista generico, avere un sacco di fan che apprezzano (e pagano) per le tue opere, ma comunque non arrivare alla fine del mese. Ed essere costretto ad avere un primo lavoro (e tenere l'arte come secondo). E dire che questo è il paese dell'arte. Ma l'arte l'abbiamo imparata talemten tanto bene, che ora l'abbiamo messa da parte, come dice il proverbio.
All'Italia che muore, come dice Moltheni in "Per carità di Stato", un grandissimo artista che ha smesso di fare musica proprio perché schifato da tutta l'industria musicale che lo circondava.
All'Italia dove sparisce la cultura, nelle TV, nelle radio, nelle scuole... e dire che la base per una civiltà progredita, ovunque nel mondo, è la cultura. Nel terzo mondo, i progetti per lo sviluppo investono sulla cultura. Da noi, si fanno i tagli. Io a casa mia la chiamo involuzione.
All'Italia di Silvio Berlusconi (oh! ecco! l'ho scritto anche io. ora posso evitare di nominarlo per il resto del post.)
All'Italia dove ti sei laureato, lavori da tre anni in un ufficio facendo un lavoro che non è quello per cui hai studiato e che non ti piace, ti impegni un sacco, non hai alcuna prospettiva concreta di sviluppo per il futuro, e non guadagni abbastanza per poter vivere da solo (e quindi figurati pensare cose del tipo mettere su famiglia). Però, SEI FORTUNATO, perché almeno tu hai un lavoro. E se tutto questo è essere fortunati... mi dispiace ma il mio concetto di fortuna ha ben altri standard minimi.
All'Italia che guarda "Vieni via con me" e se ne compiace. E basta. Dimostrando di non aver capito proprio un cazzo di tutto il senso del programma.
All'Italia dei sinistroidi, che non se ne rendono conto ma aiutano la destra in ogni singolo istante della loro vita.
All'Italia di chi vota a destra, ma in realtà è di sinistra e ancora deve capirlo.
All'Italia di chi tornerà a parlare di sinistra o destra quando si tornerà ad essere in un paese realmente democratico, e nel mentre vota alla meno peggio "turandosi il naso".
All'Italia dei laureati che scappano all'estero e poi finiscono a fare i camerieri perché non sanno la lingua (e chiedendosi come mai nel resto d'Europa le sanno già, e solo da noi siamo ancora al livello di ESCHIUS MI).
All'Italia di chi ogni due anni canta l'inno (Europei e Mondiali, Prandelli permettendo) e si sente veramente unito nei 90 minuti delle partite e nelle 340 ore di commenti e moviole bar-televisive biscardiane.
All'Italia di chi si lamneta dell'Italia tutto l'anno senza fare nulla di concreto per cambiarla, ma continua a viverci perché gli fa comodo, e oggi pure improvvisamente è contento e si sente orgoglioso di essere italiano.
All'Italia di chi vuole la Padania.
All'Italia di chi "ma tanto cosa vuoi farci?", di "ma tanto se non voti lui chi vuoi votare?", di "che vergogna questi sprechi! ...amore, è pronta la pasta?"
Come avrete intuito, non c'è molto da festeggiare, almeno per come la vedo io. Di cosa c'è da essere contenti?
Forse, sarebbe meglio celebrare. Per ricordarsi. Per capire cosa è funzionato e cosa no, e cosa sta andando storto. Rileggere insieme questi 150 anni, e trovare il modo per farne altri 150.
Allora si...
Allora si che vale la pena di ricordarsi di Bartali e Coppi, di Roberto Saviano, di Falcone e Borsellino, della nazionale dell'82 e del 2006, ma anche di quella del '70, di Mameli e del suo inno, della Resistenza, degli Ex-Otago che si fanno produrre l'album dagli ascoltatori con l'azionarato popolare, di Pronti Al Peggio, e di una lista che è molto più lunga di quella che ho fatto sopra.
E anche di A.V., che è un comune operaio di quaranta e rotti anni, che è stato licenziato dalla sua ditta in fallimento, e si è riciclato in un altro lavoro, che lo obbliga a svegliarsi alle 4 e mezza tutte le mattine per mantenere una famiglia. Questo è il mio eroe, quello che si fa il mazzo tutti i giorni, e fa solamente "quello che dovrebbe fare", ma lo fa, in silenzio.
E di gente che per un attimo dicesse "VIVA L'ITALIA!", mandasse giù un bicchierino di prosecco (o una sana birra con gli amici, perché oggi è anche San Patrizio), e poi via, il giorno dopo, A LAVORARE. In Italia e per l'Italia. Facendo semplicemente il proprio piccolo lavoro di studenti o lavoratori, magari parlando nel mentre della riforma della giustizia e del nuclere. Perché l'Italia è ancora una repubblica fondata sul lavoro (e non sulla cassa integrazione).
Ed è di questi personaggi che vorrei fosse l'Italia dei prossimi 150 anni. Perché anche se sta morendo, può ancora guarire perfettamente e vivere almeno un altro secolo e mezzo.

Tanti auguri a tutti noi, allora perché l'Italia siamo noi, che anche se non ci sentiamo italiani, per fortuna o purtroppo lo siamo.

mercoledì 23 febbraio 2011

A me quella storia dei cucchiaini di zucchero di Kate Nash mi è piaciuta un sacco, davvero

I'd like to get up late and see your text of 3 hrs before.
I'd like to have a date with you and arrive 20 minutes late telling a lie about the DLR.
I'd like to eat with you a normal pasta, that you'll enjoy 'cause you are not italian and I'm enjoy just 'cause I'm hungry. (and maybe inside of you, you are thinking that it's not so special, and I would agree, but you won't tell me just 'cause I made it).
I'd like to walk with you in all the parks of London, even the more awful and sad in a unknown zone just 'cause we saw it on gmaps.
I'd like to stay with you till the moment we won't have anything to say, and we'll not feel embarassed for this... or till the moment we really feel awkward, who knows.
I'd like you could take enough coffee and tea with me till the moment you know when I say 2 spoon of sugar I mean 3, like Kate Nash's song.
I'd like you could walk with me on the Millennium Bridge.
And on the top of Primrose Hill, just to say "Nothing special at all".
I'd like you'll be the first I call when I'll be in the hospital with a broken nose.
I'd like you could see how good am I driving my car. Getting scared everytime I try to be a pilot.
I'd like to listen to your music, understanding just a few words.
I'd like to learn "la tua lingua" (nothing naughty) and that you could learn "el mi idioma".
I'd like to hear from you just a few words, nothing special, but just the ones that could turn me to you saying "Really?" with a 32 teeth and 64 GB smile.
I'd like to let you know about my family, my dog, my house, my city (my town?), and most of all, me and everything that made me. (even the smell of fried fish that my father usually do on sunday that I keep in my jacket till monday evening).
I'd like to be able to write in a better english, you see.
But I'd like to see your smile.
And I'd like to see you, now, in a year, in three, or just when could happen.

And see what we could be. In the real life...

- Giulio -

...ma non era
morto?

sabato 5 febbraio 2011

Primavera.

Shadwell - tramonto volutamente sfuocato

...e poi all'improvviso arriva.

Così, dal nulla.
Lo sapevi che sarebbe arrivata. Come sempre. Lo sai sempre che arriva.


Ma non sai mai quando. E' questo che ti frega - o la figata, punti di vista - è che alla fine nemmeno puoi dire che l'aspetti veramente.


E poi neanche sai esattamente quando arriva. A un certo punto ti accorgi che c'è, e basta.
Però ti ricordi della prima volta - la prima volta che l'hai vista. Che l'hai sentita.


E allora ripensi a quel momento (assurdo, se ci ripensi per bene) in cui, nel tardo pomeriggio, a gennaio, magari nel buio di un paese europeo di medio-bassa importanza, due uccellini hanno fischiato, e nel bagliore del crepuscolo, hai sentito un filo di vento. Leggermente più caldo. E lei era li, a salutarti.

La primavera. 2011.
Benvenuta.

E certo, avremo ancora il freddo, i sottozero, e forse la neve fuori stagione, e ancora raffreddori, tossi e maldigola, ma lei era già li. Ed è ancora qui. E ci sarà ancora per un bel po'.

E stavolta è una delle più importanti.

Avremo il sole negli occhi, i Rayban sul naso, i The Drums nelle orecchie, il volante nelle mani, i bermuda nelle gambe, le adidas nei piedi, e sfrecceremo tra Cento e Bologna, tra gli Estensi e Faenza, tra Milano e Milano Marittima (citando Dargen D'Amico). Sempre rispettando i limiti. Berremo gli spritz responsabilmente. Casco o caschetto in testa ben allacciato. Luci accese anche di giorno. E prudenza, sempre.

Più vado avanti più le cose si complicano, ma è un po' quella sorta di complicazione che a tutti pare complicata tranne che a te. Quindi è un problema degli altri. E figurati se mi interessano i problemi degli altri, mi bastano già da risolvere i miei.
Non sono preoccupato dalla disoccupazione, dai bruciori nella schiena, dall'aumento della benzina, dal saldo a fine mese che progressivamente diminuisce, dalla difficolta del rapportarsi con persone dall'orientamento mentale diverso dal mio. Oddio, forse l'ultima un po' mi preoccupa, ma penso che leggere la verde a 1.50 mi farà più paura nell'immediato.

Ma all'improvviso è tardi, e intanto il tempo passa e tu non passi mai, primavera.

venerdì 31 dicembre 2010

DiaroDelloScrittore: #1 destorisofà

Inizio questa sorta di diario perché magari, mentre scrivo un libro, e ne penso un secondo, e ne ho in sospeso almeno altri 3, e ho pronti soggetti per almeno altri 10, si sa mai che ne possa produrre un sedicesimo, su tutti questi pensieri.

In realtà, questa sorta di diario parte già incompleta, perché non è che ho cominciato a scrivere oggi, ma 12 anni fa, nel 1998.
E ciò a cui sto lavorando ora, è partito nel 2006. E per dirla tutta, in realtà avevo in mente il soggetto da almeno un paio d'anni prima...

Ma diamo un nome alle cose, cacchio, perché le cose van chiamate con il loro nome.

Stiamo parlando del progetto Kooks, e già questo non è il vero titolo del romanzo, ma un nome di lavorazione... quindi già chiamiamo le cose con un nome che non è il loro.

C'è qualche attinenza tra il nome Kooks e la band The Kooks?
Beh, direi di si.

Quale?
Sono gli stessi.

E quale attinenza c'è nel romanzo?
C'entra con la canzone Naive.

Ah... cosa, in particolare?
Il sound, credo.

Quindi non c'è un legame con il testo?
Ma cos'è un diario o un'autointervista?

Entrambe? Comunque te la stai scrivendo da solo...
Si, in effetti hai ragione. Ho ragione. Abbiamo ragione. Tra l'altro erano domande pessime.

Veniamo alla situazione attuale: Kooks era pronto al 70%, ma è stato vittima di una restauro sostanziale, quasi una ricostruzione, e ora è pronto al 30%. Un 30% che a sua volta è vittima di continue correzioni e revisioni, quindi si tratta un po' del solito progetto all'italiana, modello ospedale di Cona: investimenti enormi, risultati tangibili zero.

Prime impressioni positive: nonostante l'impegno poco profuso di questi giorni, direi che agli stimoli di scrittura c'è una buona risposta.
A volte forse sarebbe necessario disattivare l'Airport, ma è anche vero che per le condizioni di vita attuali mi è necessario un contatto tramite Facebook, MSN, Skype, e quant'altro... certo in alcuni momenti l'isolamento forzato sarebbe utile, ma come fai a discernere i momenti in cui sarebbe utile e quelli in cui sarebbe utile avere la connessione internet?

Prime impressioni negative: LA PERDITA DEL CINISMO.
Va spiegata un po' la situazione: abbiamo un protagonista, che chiameremo JJ, già in passato protagonista di racconti. L'intera opera Kooks costituisce una sorta di enorme prequel a questi racconti... che va collocato circa 2-3 anni prima dei racconti stessi.

Per quanto sicuramente JJ debba risultare quindi per forza diverso da questi racconti, rimane poi la stessa persona.

E in questo momento, mi è difficile scrivere nel modo in cui questa persona sarebbe.
Cos'è successo? Dove ho perso queste caratteristiche? Quelle che tra il 2006 e il 2008 mi hanno permesso di scrivere questi racconti?

Non lo so, e in fondo non è che a sapere dove le ho perse le ritroverò, è un po' come quando perdi il portafoglio per strada. Forse a fare la strada a ritroso lo ritrovo subito, ma se passi dopo due anni, col cazzo che è ancora li ad aspettarti.

La situazione è, in qualche modo, ricrearlo in maniera artificiosa.

1) il ricordo. Ah, questa grande cosa che tentiamo di annullare attraverso l'alcol, ma che resta perpetua nelle nostre sinapsi neurali... per fortuna.

2) Uochi Toki. BUM! Con Napo si va sempre sul sicuro.

3) Così come Napo, possiamo aggiungere Amari, Massimo Coppola, Vasco Brondi, e tanti altri profeti del nostro tempo, un po' maestri di vita di JJ (e anche miei, tra le altre cose).

4) i precedenti racconti di JJ. Dove andare a pescare se non proprio dove il cinismo regnava sovrano?

E poi direi che basta così, per ora.

Ma sai che a nessuno gliene frega niente di queste cose?
Eh beh perché, le vostre serate del cazzo in discoteca, sono forse più utili alla comunità?

Siamo tutti inutili. La specie non progredisce. Ed è colpa anche mia.

sabato 18 dicembre 2010

Vado via e resto qui

Vado via perché non ho visto la trasmissione di Fazio e Saviano.

Resto qui, perché posso vederla da internet.

Vado via perché "e tu vuoi far qualcosa che serva"

Resto qui perchè "è anche per te che il tuo paese è una merda"

Vado via perché qui ci sono gli studenti che manifestano.

Resto qui, perché anche la ci sono gli studenti che manifestano.

Vado via perché c'è la neve.

Resto qui, se c'è troppa neve.

Vado via perché svegliarsi alle 5.30 di mattina... restano sempre le 5.30 di mattina.

Resto qui, perché si può dormire solo 3 ore per notte e svegliarsi con un sorriso bellissimo, anzi due.

Vado via perché voglio avere una vita sociale.

Resto qui, perché avrò una vita sociale.

Vado via perché se davvero nella vita vuoi fare una cosa devi andarci incontro e prenderla.

Resto qui, perché se davvero nella vita vuoi fare una cosa, devi farla nel modo giusto.

Vado via perché voglio rivedere dei posti e delle persone.

Resto qui, perché i soldi, per ora, sono quel che sono.

Vado via perché ho voglia di rivedere la mia città.

Resto qui, perché sono già nella mia città.

Vado via perché sono disoccupato.

Resto qui, perché perché esistono forme di approccio lavorativo difficilmente comprensibili alla popolazione media.

Vado via perché non voglio sentirmi come Saviano.

Resto qui, perché spero di sentirmi come Fazio.

Vado via perché ho già il biglietto di andata.

Resto qui, perché poi ho anche quello di ritorno.

Vado via perché sono al centro di tutte le partenze.

Resto qui, perché è il posto da dove voglio ricominciare ancora.

Vado via perché me ne sono già andato.

Resto qui, per ora, per un po' ancora, e un po' per sempre.