sabato 20 febbraio 2021

Più o meno, un anno fa: da un anno

Io e la mia mascherina stiamo bene insieme.
(la mia prima mascherina chirurgica "usa e getta": usata per due mesi, e poi gettata)

Febbraio 2020

C'è un nuovo virus, pericolosissimo, che è uscito fuori in Cina, si diffonde con molta facilità, è come una banale influenza ma per chi soffre di altre patologie può risultare letale.
Come la SARS, come la suina, come tante altre. Sì, vabbè.
Questa cosa prende piede in Cina, capirai, in Cina c'è un miliardo di persone di cui 900 milioni in condizioni di povertà, in Cina non ci sono i diritti civili, in Cina hanno chiuso tutti in casa, c'è un maratoneta che si allena correndo in 27 metri quadri, c'è da impazzire.

Ma qui ci sono i controlli, qui hanno bloccato i voli dalla Cina, che il virus si diffonda qui è altamente improbabile.

Nel dubbio la gente smette di andare al ristorante cinese, e anche dai giapponesi che in Italia sono gestiti dai cinesi, io ci vado e noto è mezzo vuoto anche se è venerdì sera. Avrebbe dovuto trasferirsi un mese fa, ma è ancora lì, forse per il periodo. (Sarà l'ultima volta che entrerò a mangiare in quel locale: recentemente ha riaperto, nella nuova sede, ma devo ancora mangiarci dentro.)

C'è qualche caso, qualcuno a Roma, qualcuno rientrato da trasferta in Cina, uno che è entrato in con qualcun altro. Ma è tutto sotto controllo.

E poi.

Arriva.

Lui.

Il "paziente uno". Il primo paziente che preso il virus in Italia. E in poco tempo, due. Quattro. Sedici. Principalmente in Lombardia.

E' il 21 febbraio, venerdì pomeriggio, e la sensazione, a quel punto, è netta. E' arrivato il "coronavirus". In Italia. E poi a breve in Europa, e poi in tutto il mondo.

I pensieri sono due.
Il primo è cercare di assicurarmi per poter ricevere denaro e lavorare anche durante in un ipotetico contagio.
Il secondo è trovare il modo su come fare i soldi sulla isteria collettiva, al netto di chi purtroppo invece soffrirà o addirittura ci lascerà le penne.

Entrambe le intuizioni sono ciniche, ma razionali e corrette. Non basta l'intuizione, però. Non basta la visione del gioco: ci vuole il piede buono per saper fare il lancio lungo.

Alzai lo sguardo, ed ebbi la visione: mancò il piede.

Comunque, mi immagino come andrà a finire: mi attivo subito per predisporre un servizio di riprese in streaming delle partite per la Benedetto XIV (che al momento, in Serie B, non era previsto). Avevo già immaginato le porte chiuse. Porte chiuse che poi tutti scongiureranno, e rifiuteranno, salvo poi arrendersi all'evidenza del "o così o niente".

Alla sera esco, con alcuni amici: deve raggiungermi mia moglie, all'epoca morosa. Mi telefona: tarderà, è stata tamponata. Per la seconda volta nel giro di pochi mesi. Stavolta niente di grave, solo un piccolo graffio sul paraurti.
La cosa che fa ridere, a un anno di distanza, è diventata abitudine per me farmi tamponare al venerdì, 48 ore prima dei match della Benedetto XIV, per motivi di protocollo FIP.

Andiamo a cena, a mangiare una pizza. Arriva. Arriva la pizza, arriva la Maja. Ceniamo. Sarà il penultimo pasto consumato fuori casa, ma non posso saperlo.

Apro il telefono: la partita di serie di B di basket della Bakery Piacenza è stata rinviata. Scrivono erroneamente "sospesa". Johnson Righeira (sì, lui, quello dei Righeira) commenta la notizia su Instagram con "Azzz...".

Tutto vero: il post è ancora qui https://www.instagram.com/p/B81z4WlIlmT/


Il giorno dopo, si gioca la partita della Benedetto XIV. Si tratta di un anticipo al sabato sera per non accavallarsi con il Carnevale di Cento del giorno dopo.
Pur giocandosi a 45 minuti da Cento, al PalaSavena di San Lazzaro, il pubblico è più o meno lo stesso. E quanto giochi da due stagioni a 80 km A/R da casa, cerco di evitare tutto quello che può andare a ridurre ulteriormente il pubblico di aficionados.

C'è un clima un po' surreale, e non è per il ritorno al sabato sera (che era tradizione fino a metà degli anni '10): c'è la netta percezione che stia avvenendo qualcosa, qualcosa al di fuori del basket, ma ancora non si capirà quanto influirà tutto questo. La partita è un turning point stagionale, la Benedetto XIV vince il match contro Fabriano con un canestro a pochi secondi dalla fine di Yan Moreno: Cento così aggancia la rivale, e in virtù del 2-0 negli scontri diretti la sorpassa e di fatto agguanta la testa del girone.

Sì: abbiamo chiuso con una bella vittoria.


Tra gli addetti ai lavori si parla già di porte chiuse, e ci si chiede se effettivamente ci si vedrà lì, di nuovo tra un paio di settimane. Non sarà così, con molti ci si rivedrà anche 7-8 mesi. Qualcuno non lo vedo da allora.

Finiamo tardi, e a me e ai colleghi non resta che tornare a Cento, dopo aver cercato un paninaro aperto che da mezzanotte in poi sembrava già introvabile. Coprifuoco era ancora un modo dire.
Una birra, una piadina. Questo sarà il mio ultimo pasto fuori casa, per parecchi mesi a venire.

E' appena iniziata domenica 23 febbraio.

Qualche ora di sonno, e ben vestito, sono di nuovo al lavoro: c'è il Carnevale di Cento. Si è discusso sull'annullare la giornata di sfilate o meno, ma alla fine nessuno se l'è sentita. Giusto? Sbagliato?
Se da un lato è giusto parlare di prudenza e buon senso, dall'altra dobbiamo parlare di responsabilità verso turisti e addetti ai lavori.
Onestamente, non so proprio cosa avrei scelto io: ma non devo prendermi la briga di decidere, io ci lavoro, mi vesto e vado.
Tuttavia ormai la faccenda è nazionale, si invoca da più parti la sospensione di tutto, la chiusura di ogni evento fonte di assembramento.

Sbucano le prime mascherine, chirurgiche, indossate da turisti molto timorosi che pensano di proteggere loro stessi, quando in realtà proteggono gli altri. D'altronde, a quella data, è facile immaginare che quelle mascherine fossero il meglio reperibile in commercio.

E' una bella giornata di sole ma non c'è un clima di festa, da casa sono diversi gli insulti che riceviamo sulle pagine Facebook. "Avrete dei morti sulla coscienza". No, non si sono poi registrati contagi avvenuti durante il Carnevale o a seguito di contatti avvenuti in quella giornata. Forse ci sono stati, forse no: di certo il tracciamento nelle prime giornate riusciva ancora spesso a delineare le possibili zone di contagio, e il Carnevale di Cento non fu una di queste.
Sfilano i carri, volano i coriandoli, sul palco del Carnevale sale "la velina russa" Vera Atyushkina (vi ho sbloccato un ricordo, lo so), ma non è una completa giornata di festa.

Comunque, era nell'aria un'ordinanza di Bonaccini, Presidente della Regione Emilia-Romagna, per "chiudere tutto".
Il carnevale, nonostante la splendida giornata di sole, si svolge velocissimo, quasi ad anticipare ogni ordinanza. Che potrebbe anche avere effetto immediato, per quel che ne sappiamo in quel momento.

E poi arriva, l'ordinanza. Tutto chiuso in Emilia-Romagna. Scuole, eventi, aggregamenti. Per almeno 7 giorni. Ma già sappiamo che i giorni dovranno essere almeno 14, se non 21, per avere effetto.
Saranno oltre 70, in realtà, e per le scuole persino di più: l'anno scolastico, per lo meno quello in presenza, si chiuderà qui.
Quindi, il Carnevale di Cento finirà lì, quel 23 febbraio 2020.

Ridendo e scherzando, pensiamo che bisognerebbe passare dai supermercati per fare scorta. E ci giunge voce che qualcuno si sta già attivando in questo senso: chi in maniera ponderata, chi in maniera folle.
Bevo una birra in un bicchiere di plastica, con i colleghi, e torno a casa.

I primi giorni proseguono quasi normali, nel clima del #iononmifermo e nel nome di un distanziamento molto teorico e poco pratico. Le mascherine ancora non esistono. I casi fioccano, uno dopo l'altro. Centinaia, poi migliaia.

Mi capita persino di ammalarmi. Prevalentemente una brutta infiammazione alla gola, ma la tosse e il mal di gola durano solo un giorno. Per il resto stanchezza, spossatezza, sensazioni febbrili. Insomma, ce n'è abbastanza per recarmi dal medico e mettermi in mutua.
Vado dal dottore, stiamo tutti distanti. E' fine febbraio ma le finestre restano aperte. A suo dire, non si tratta di corona virus. A distanza di parecchi mesi, un test sierologico confermerà la sua idea: non era covid19.

No: non era febbre. E forse non c'era nemmeno battito.

Le partite di basket iniziano ad essere rinviate un po' ovunque, così come anche gli eventi sportivi. Non più solo in Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna. I casi fioccano come funghi in tutta Italia. E in tutta Europa. E' solo l'inizio, nel giro di poche settimane verranno sospesi prima gli interi campionati, e poi annullati.

C'è tempo poi per fare una ultima cena, con alcuni miei amici, il 5 marzo 2020. Con un po' di timore, crescente, con un po' di distanziamento appena accennato. Nel mentre, arrivano le prime bozze di DPCM, dove si parla di province "zone rosse". Alcuni amici si chiedono se riusciranno a tornare a casa.
Questa rimarrà l'ultima cena con loro, per diversi mesi.

E poi pochi giorni dopo , una sera, appare Giuseppe Conte, Presidente del Consiglio, in TV. Sto ancora lavorando, mentre torno a casa mi fermo a fare il pieno alla macchina.
Da un lato, era necessario: ero in riserva. Dall'altro, fossi riuscito ad aspettare qualche giorno in più, avrei goduto di un costo veramente basso per il diesel. Ma tant'è. Passeranno mesi prima che torni ad avvicinarmi ad una stazione di servizio.

Torno a casa. Conte ha parlato. E' uscito un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, poi amichevolmente noto come DPCM.
E' lockdown. Nazionale. Anche se poi sarò costretto ad andare fisicamente in ufficio ancora per una settimana, prima che venga attivato il cosiddetto "lavoro agile".

La chiameremo tutti "quarantena", erroneamente, perché quel termine sarebbe più indicato per l'isolamento domiciliare. Ma c'è ancora parecchio caos, soprattutto nei nomi. Si parla ancora di "coronavirus", dopo un po' di settimane prenderà piede la parola "covid", diminutivo di covid-19.

E poi il resto lo sapete, è storia recente, anzi, ancora purtroppo presente.

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