mercoledì 18 novembre 2015

Mi scrive Klara


MI SCRIVE KLARA


Hi, I love a lot of things.. I just cannot list all of them here! But most of all.. I love being a woman, beautiful, sexy and sometimes 
wink emoticon
! I do believe that I would meet a reliable, loving and caring man with whom I share all the moments in my life!
Is said that I am a tender, intelligent, humorous and honest lady. I am modest, balanced and loving [link spammone che non ho aperto]. I respect everybody and try first to understand one but not to judge.
I'd like to have a nice family of full value, but unfortunately I can't find a partner among people around me.
Bye, Klara.

Cara Klara,
innanzitutto, scusami per il gioco di parole. La vita è un periodo difficile che si frappone fra la nascita e la morte, e scopo della nostra esistenza è far sì che tutto questo possa essere sopportato nella migliore maniera possibile.
E' logico quindi pensare che in due si possa affrontare meglio: tu vai a fare la spesa mentre io piego le lenzuola, tu stiri le camicie mentre io svuoto il bidone del vetro, tu lavi il bagno mentre io scrivo post inutili su facebook, eccetera eccetera.
Ma cosa succede se intorno a noi non troviamo un partner? Che poi, vabbè scritto in inglese, ma che parola di merda è "partner"? Mi fa tanto TV anni '90. Non che "compagno" sia meglio: più che al comunismo, penso a trentenni con relazioni iperdurature che rifiutano l'idea di matrimonio per partito preso, che intraprendono semi-convivenze (hai la residenza dai tuoi, ma vieni a dormire x-factor sul divano da me) a culo parato.
Lo vedi, Klara? Qui neanche riusciamo a dargli un nome. Che poi, vedi? Dargli un nome è tutto. Quando dai un nome alle cose ti ci affezioni. Ieri ho scoperto che la mia caldaia si chiama Lamby è ho preso a insultarla in maniera amichevole. Mentre le dicevo "puttana" in realtà non lo pensavo veramente. Lei però si è offesa, le è scesa la pressione, e non mi ha più fatto la pompa.
Le ho chiesto scusa, ma non è servito. Mi sono sentito in colpa. Che insulto sessista, poi. Dicendole così ho insultato tutte le donne. Ma soprattutto, tutte le caldaie.
E insomma, alla fine ho chiamato l'idraulico. Se la vedrà con l'idraulico, senza di me, come nei migliori video di XNXX.
Capisci perché è difficile, Klara?
Ecco, adesso mi è scesa la tristezza. Colpa tua, Klara.
Se facevo un pippone su Beirut mi sentivo meglio.


mercoledì 21 ottobre 2015

Lost in the weekend


Perdo la memoria. E/o coscienza. E/o non ricordo. Ho dei blackout totali. Ho dei momenti di dislessia in cui mi mangio le parole. O le confondo. O le combino tra loro. Sembro sempre ubriaco anche quando non lo sono. Sono spesso ubriaco anche quando non lo sembro.
Bevo. Bevo spesso e bevo tanto. Tutto. In particolare tè, tisane, camomille.
Ascolto musica discutibile. Dance, house, apprezzo il pop. Ho ripreso ad ascoltare anche del rap.
Mi interesso a cose ridicole e pacchiane come la Formula E. Leggo gli articoli più disparati e disperati su internet sugli argomenti più assurdi.
Cerco di fare sport il più possibile. Ma ne faccio sempre poco. E non basta mai.
Mi perdo nelle mie commissioni e nelle mie mansioni, anche le più banali, e anche se mi sembra di dare il massimo, c'è sempre qualcosa che resta indietro. Sempre. Sempre.
Lascio sempre in disordine tutti i miei vestiti. Che sono sempre di più. Anche se metto sempre gli stessi.
Non so dire quanti mesi sono che non riesco a fare una cosa bene, dall'inizio alla fine. C'è sempre qualcosa che non va. E le cose non riesco mai a finirle senza che in mezzo ci si mettano mille intoppi.
La mia vita lavorativa non esiste. C'è, ma è come se non esistesse. La mia vita privata forse non esiste per davvero (qual è la mia vita privata? è privata nel senso che ne sono privato?). La mia vita pubblica non so in cosa consista (è quella di quando faccio apparizioni in pubblico? cioè tipo andare nell'unico locale e nell'unica tribuna dell'unica squadra? ah, ok, allora si svolge tra il sabato e la domenica e si esaurisce in 24 ore, e consiste nella mia solita faccia con i capelli che gradualmente si allungano e i 4 maglioncini che indosso a rotazione).
E la mia vita da scrittore è questa, cioè il mix caotico e poco amalgamato di queste tre precedenti. David Foster Wallace si sarebbe sparato prima. Bukowski sarebbe morto prima. Baricco sarebbe dallo psicanalista. Fabio Volo tornerebbe a fare il fornaio. Moccia farebbe "i ragazzi della terza C - 20 anni dopo".
Solo io riesco a resistere - ma ad ognuno la propria vita.
Senza che io riesca nemmeno ad aprire word. La verità è che non scrivo da qualche settimana. Non ce la faccio.
Dovrei scrivere dopo mezzanotte. Ma ho paura di perdere il posto di lavoro, alla lunga, e andrebbe troppo a influire sulle altre tre vite precedenti.
Poi arriva il venerdì. Poi sabato. Domenica. E lunedì.
I weekend sono pochi, arrivano, e passano, e lasciano solchi invisibili. E indelebili.

E ti ritrovi a piangere ascoltando Cesare Cremonini, che mi sembra il finale di 1984. Ma tu chi, non lo so, io no, tu si.

"Un commento su questa serata?"
"Non sento niente."
"Direi che va bene così."

"Ho i tappi nelle orecchie. Hai detto qualcosa?"
"No, niente"
"Ah."



lunedì 21 settembre 2015

Di nuovo Lacetti - La peregrinazione europea

da un'altra parte, dall'altra parte, sempre qualcun altro, Lacetti...

Ero fermo davanti a un autogrill ungherese, uno di quei posti dove puoi aspettarti di carpire il segreto della vita dalle labbra di un autotrasportatore polacco, o perdere un rene.
Una birra fredda da 50 cl mi scorreva lungo la gola, mentre attendevo il da farsi. Sapevo che presto mi sarei fatto una zuppa calda.
L'autostrada era bloccata da quei cazzo di migranti, e per le strade basse era meglio non addentrarsi di notte. Avrei aspettato l'indomani, dormendo sul sedile passeggero, con una coperta che profumava di cane, camporelle e libertà.

Ancora parecchia strada mi separava dalla mia meta... ma dove ero? Dove mi trovavo? Dove era colei che avrei dovuto raggiungere? Mi sentivo come Max Pezzali in uno dei suoi  più conclamati successi, quella Nord Sud Ovest Est che casualmente avevo sentito per radio l'ultima volta in Italia, poco prima di Trieste.
Starò cercando lei o forse me? E forse quel che cerco neanche c'è.
Tirai fuori il mio pene rattrappito dal freddo e pisciai lungo un palo della luce. Non c'era veramente un cazzo, da queste parti. E pensare a tutte le vittime degli abusi edlizi, che in Italia si accoltellano alle assemblee di condominio per un posto auto. O quelli che si ammazzano per gli affitti nelle periferie di Londra. Qui c'è tutto il posto che vogliono.

Perché non venite qua a cagare il cazzo?
Qui che non c'è niente.

Sarei arrivato da qualche parte, prima o poi? Perché mi ero imbarcato in questo viaggio? La Lacetti era fredda ghiacciata, ferma e inutile, come questa bottiglia di birra ormai vuota.
Mi rassegnai ad entrare in quella bettola puzzolente e ordinare una zuppa calda.
In televisione davano le immagini dei siriani, proprio quelli che a fianco a me percorrevano l'autostrada. Dove cazzo andate? Restate qui. Popoliamo questa landa desolata insieme. Non lasciatemi da solo anche io.

Perché devo sempre rincorrere tutti e nessuno si ferma mai da me?
Fanculo.
Il mio destino è quello di cacciatore. Non c'è nulla che possa fare se non continuare a cacciare. Ti troverò. Viva o morta, ti troverò.

lunedì 7 settembre 2015

Robin Schulz (ma io non voglio ancora crederci)

La fine delle ferie, settembre, il ritorno al lavoro, la festa dei giovani di Pieve, l'asta del fantacalcio, la fiera di Cento, il termometro che cala, e il nuovo EP di Robin Schulz: tutto il mondo che mi circonda sembra volermi comunicare la fine dell'estate, ma io ancora non voglio crederci.

Credo ancora che possa arrivare di nuovo qualcosa, come Baggio all'88esimo, come Senna che recupera 1 secondo al giro sotto la pioggia, come Savoldelli giù per una discesa, come te che mi hai saputo portare dove neanche pensavo di poter voler finire. (eh? ma chi?)

Ma non succederà. L'estate sta finendo. Un anno se ne va. Sto diventando grande. Lo sai che non mi va. E se è per questo non mi va neanche l'EP di Robin Schulz. Fa veramente cagare.

E una volta settembre mi piaceva, sentivo quel fresco odore del sole sui campi di grano svuotati, quelle giornate sempre più corte ma comunque radiose, quella speranza.

Perché poi la verità è che noi il meglio l'abbiamo sempre dato tra settembre e maggio. Mica come Robin Schulz.

"Forse è la paura di perdere le emozioni dei sogni che spinge a tenere viva la speranza. Eh? Che cosa ho detto? O forse devo bere meno, scrivere meno cazzate e andare a letto prima la sera."

(Comunque Headlights mi è piaciuta un sacco.)








mercoledì 2 settembre 2015

Lacetti colpisce ancora - Alla ricerca del pezzo incantato

Non sopportavo come i ragazzi laggiù in Romagna avessero preso a chiamarmi Lacetti. Voglio dire, ero pronto a rottamare quel ferro arrugginito in cambio di una bionda ghiacciata, se solo fosse bastato a farmi chiamare con il mio cazzo di nome.

Ma era inutile, Aziz, Basano e Mapez amavano scherzare all'europea, e in quel genere di questioni era meglio non addentrarsi, se volevo evitarmi un pippone spezzapalle di 45 minuti. Volevo solo un cazzo di burrito caldo, ma in tasca non avevo spicci, né per la broda della Lacetti né per saldare il conto della serata.
I miei debiti si facevano troppo alti, e rischiavo di fare la fine della Grecia in un poker assassino con Berlino e Londra.

Decisi di stare seduto sul dondolo nella mia veranda a fumarmi un paio di paglini, mentre attendevo qualche idea sul da farsi.
Avevo un sacco di lavori da terminare qui, e l'indomani mi sarei svegliato presto per cominciare a terminarli, ma non riuscivo a schiodare la testa da quella topolina dell'est.

Cosa era successo? Mai mi era capitato di perdere la testa per un pezzo di carne, neanche fosse una fiorentina servita sotto al Mugello. Qui c'era qualcosa di più grosso sotto. Questa tipina nascondeva dei segreti, sotto quelle gemme che aveva al posto degli occhi, e iniziavo a esserne sicuro. Dovevo scoprire quale mistero si portava dietro. Quel fascino di eterna bambina innocente, mischiato al carattere della peggior stronza dell'ufficio postale, e alla freddezza di un killer in area di rigore. Ma aveva un tocco, un raggio di sole, una brezza tiepida, che a tratti, le uscita dalle labbra, dalle mani, dal cuore.

Dovevo andare a scoprirlo al più certo, ne ero sicuro. Cercai gli stivali antifango e li trovai ancora sporchi di fango, perfetti per immergermi nel fango fin da subito. Ma nel fango dovevo andarci domani.

Dovevo andare a prendere quella bimba. Ed ero sicuro ci sarebbero voluti almeno una decina di caricatori, 4 taniche di benzina, un bel giubbottone con l'interno ben foderato, e soprattutto un paio di stivali puliti.
Sarei partito l'indomani con le luci dell'alba, avrei fatto il pieno da Grisù (di soldi e di broda) e poi avrei schiacciato il gas di quel cesso mobile fino a farla bruciare dopo il confine.

Sentivo l'odore della rincorsa più lunga di tutto l'ovest civilizzato, ma sentivo anche il suo profumo tenue nell'aria, e sapevo che non sarei tornato da solo da questa cavalcata.
La luna piena mi sorrise sorniona, io la mandai a farsi inculare, e mi buttai sul dondolo, per dormire con il fresco della sera.

martedì 30 giugno 2015

Lacetti

Qualche tempo fa, nel vecchio continente...

Il sapore di caffè caldo mi correva ancora lungo le gengive, in una corsa infinita, come i fari della notte sulla A14.
Che poi non era vero caffè, lo sapevo, me lo aveva detto Lucia, una puttana italiana mi ero fatto in un viaggio a Milano, qualche anno fa.
Senza nemmeno pagarla.
Bah, laggiù, le studente universitarie fanno una sorta di tirocinio gratuito presso i cazzi a stelle e strisce, anche se a quanto pare prediligono quelli del sudamerica.
Ma non mi interessava più di tanto, non volevo farmi distogliere dal pensiero di quelle gambe, ancora fresco nella mia mente, di un colore perfettamente a metà tra l'ebano e l'avorio, che si contorcevano calde e sudate in un vestito nero apparentemente un po' troppo corto.
Avrei avuto voglia di interrompere ogni scialba conversazione e mostrare un po' del materiale che mi porto sempre appresso, ma a quanto pare c'era una procedura da rispettare, e le mie maniere sarebbero risultate una eccezione non consentita dal sistema.
Ho qualche dubbio sulla sanzione che mi sarebbe stata commissionata, ma decisi di non forzare la situazione, e lasciare che le mie attenzioni si dirigessero temporaneamente sulla destra, dove in un lungo tessuto si contorcevano un'anima bisognosa di punizioni.
Non mi sarei sottratto al mio dovere, ma prima, avrei bagnato le labbra in un paio di bicchieri, come si conviene ad un uomo che ha sete per davvero.

Prima di tutto questo, avrei dovuto affrontare "the white runner", così lo chiamavano. Non mi interessava l'origine di quel nomignolo, conoscevo bene il mio avversario. E sapevo che con lui era come una partita a scacchi: ti avrebbe portato dove voleva, per poi sconfiggerti. Riuscii a uscirne vivo, ma non certo vincitore, e mi allontanai con le luci della sera, sulla mia Chevy rossa.

Le valvole urlavano come dannate sotto quel cofano bollente, a rammentarmi che non poggiavo il culo sul sedile di una muscle car, ma sul deprecabile telaio di una Lacetti, rimediata chissà dove dopo un lavoro a Piacenza.
Ricordo bene quella notte e quello che mi portò a recuperare questo volante, giurai sotto una bottiglia di JD che non ne avrei mai parlato, e per la buonanima di Josh Beneguzzi, non lo farò certo ora.

Le luci della cispadana mi correvano sulla fronte, a ricordarmi gli anni che passavano e le radure che si aprivano tra i miei capelli, mentre l'umido della grande pianura bussava dai finestrini per entrarmi fin dentro le mutande.
Scesi lungo la strada a mangiare un boccone, e trovai riparo alla tavola calda di Aziz, Basano e Mapez, tre giovani del posto.
Li conoscevo bene, li avevo salvati in più di una occasione dalle calde notti di Cuba, ma forse erano stati più loro a salvare me. Mi fermavo volentieri a scucirgli qualche euro per il burrito più buono di tutta la statale, anche se con Aziz non ci dicevano molto altro che non fosse "scipola" o "picanto" o che so io.
E non ho mai capito se tutte le volte che mi diceva "bella macchina" mi stesse prendendo in giro o davvero apprezzasse quel vecchio ferro rosso prossimo alla ruggine. Sono stato indeciso più di una volta se sfoderare il mio fodero nascosto, ma nel dubbio, ho sempre preferito tenermi buono un acquirente nel caso necessitassi di liberarmi di un usato scomodo.

Basano e Mapez, invece, mi accolsero come sempre, con una pinta fredda e un cestino di pretzel che non centravano proprio un cazzo, ma sapevo che faceva parte del loro modo di avvicinarsi ad un americano di origine europea.
D'altronde, le loro origini italoamericane avrebbero fatto presagire un'accoglienza più localizzata, ma anni passati a rischiare l'osso del collo nelle atenei più rinominati del pianeta, avevano reso loro un miscela priva di senso di usanze e tradizioni.

Usciii sulla soglia, a respirare un filo di vento, a cercare di cogliere la brezza dell'estate che arriva, che fa mille promesse e che poi alla fine ti sodomizza a tradimento, proprio come feci io con Paulina, nonostante avessi tentato di utilizzare un po' di vaselina prima che mi scivolasse la confezione sul suo tappeto del discount.
Stavolta sarei stato io a prostrarmi al vento della vita, e sarei stato pronto a farlo... ma quei 1400 bigliettoni che mi aspettavano su a Manchester mi ringalluzzivano parecchio, e non avrei certo potuto fermarmi davanti a quella prospettiva.
Misi tutto sul conto di Basano (un vecchio gioco di scambi, quando alla cassa trovavo Basano ovviamente facevo mettere tutto sul conto di Mapez) e uscii, ebbro di Bavaria gassata all'inverosimile, respirando l'odore di GPL appena riempito, e pronto a perdermi nuovamente sui ponti ultimati di recente.

Sapevo che avevo un paio di gambe da conquistare di un colore perfettamente a metà tra l'ebano e l'avorio, e nessuno avrebbe potuto staccare la mia destra dal pedale del gas.


giovedì 11 giugno 2015

John Mayer


Alla fine neanche mi mancava troppo, questo blog.

Sono sempre più gli interventi che abortisco. E poi da quando ho ridotto sensibilmente le serate alcoliche infrasettimanali, ormai lo scrivere era solo delineato al fine di produrre, prima o poi un qualcosa di pubblicabile.

Poi oggi stavo sistemando delle cose al lavoro, in questa sala buia, con le luci accese, e ho ripensato a John Mayer.
O perlomeno, a quel senso di intimità di relazione di coppia, quello scoprirsi ancora acerbo, tutte quelle potenzialità... ascoltando John Mayer. Quanto John Mayer nella mia vita.
(Quanto, appunto? E quanto vero John Mayer, e quanto solo il senso di tutto ciò?)

Poi ho ripreso a fare quello che dovevo fare, ho richiuso nella borsa il mio portatile, ho spento la luce, ho lasciato la stanza nella sua penombra, ho chiuso a chiave, e me ne sono andato.

Mi è rimasto solamente, e mi rimarrà sempre, il ricordo di tutto questo. Il senso di John Mayer, anche senza forse capirne il senso veramente.

Un po' mi manca John Mayer, un po' mi manca lo stare insieme a una persona, dopo - e intendo, non prima, non durante, ma dopo.

Ma poi non mi manca una persona, che sembra così, una a caso. In realtà ho tutto quello che basta, e non mi basta lo stesso, allora forse sono io che non mi basto mai, e forse per fortuna è proprio così, che ad accontentarsi siamo sempre pronti dopo morti.

Apprezzare sempre, accontentarsi mai.

Apprezzerò John Mayer sempre, ma non mi accontenterò di John Mayer mai.


martedì 24 marzo 2015

Cosa penso di Bologna

Prendendo in prestito le parole di (this) e degli Uochi Toki cercherò di spiegarvi il mio rapporto conflittuale con Bologna: perché non la amo e non la odio e nemmeno la apprezzo, perché penso che sia bella ma in fondo non mi piace anche se vorrei farmela piacere, perché forse prima o poi ci andrò a vivere ma è lo stesso prima o poi con il quale mi dico che proverò a donare il sangue anche se ho la pressione molto bassa e probabilmente svenirò / sverrò (penso siano valide entrambe le forme) (invece sono già registrato come donatore di midollo osseo e di organi) (fatelo anche voi, dai).
Vado al dunque... cosa penso di Bologna?

Rispondo con la prima parte, tratta da un post pubblicato su blog dei bolognesi di (this):

"L’unico vero amore della mia vita l’ho conosciuto quando arrivai in questa città per studiare. Lei era bellissima e misteriosa. La conobbi sceso dal treno quasi per caso, mentre aspettava chissà chi ma giureri fosse lì per me. Ebbi una epifania pari solo a quella di un teenager degli anni ’90 che vede per la prima volta Natalie Imbruglia nel video di Torn. Mi scontrai con lei con la delicatezza di un goffo ciccione che si fa largo tra la folla per arrivare alle pizzette fredde di un aperitivo. Con una scusa la convinsi a farmi conoscere le strade della zona universitaria, a passare sotto i monumenti che fino a quel momento avevo visto solo in fotografia, a mangiare il cibo da strada locale, vero termometro della civiltà di una popolazione.
L’estate era in dirittura d’arrivo e solo la consapevolezza di aver aperto un nuovo capitolo della mia vita sopiva l’amarezza di un nuovo autunno alle porte. Città nuova, indipendenza garantita comunque da un assegno mensile dei genitori, convivenza con gente di tutto il mondo e finalmente materie da studiare che io e solo io avevo scelto con la consapevolezza e la maturità di un 19enne con le idee chiare e le palle del proprio futuro ben strette in pugno.
Le prime settimane ci siamo annusati a vicenda. Lei veniva da alcuni anni di relazioni turbolente con persone che non ne avevano gradito lo spirito libero e la voglia di mostrarsi. Io francamente ero bloccato da questo suo passato così burrascoso e per adeguarmi adottai atteggiamenti e abitudini che oggi ricordo con tenerezza. Abbigliamento sdrucito e una rigida dieta fatta di droghe scadenti e vino in offerta, ritmi di vita da barbagianni e igiene personale discutibile. Il tutto ovviamente condito da una inammissibile condotta universitaria e alcuni problemucci con lo Stato.
Con il tempo ho imparato a battere il mio sentiero personale e ad equilibrare le pulsioni autolesioniste con il mio amore incondizionato per lei. Insieme siamo cresciuti fino ad ottenere la maturità di relazione che solo chi sa perdonare può godersi. Intanto le ondate di studenti che ogni anno arrivavano per conoscere la città mi davano sempre più una sensazione di invasione del territorio, cominciai a ricordare con nostalgia i primi tempi in quel luogo che ormai non c’era più, ferito a morte dalle sferzate di un giovanilismo forzato che mal si accostava alla bonarietà borghese della città.
Mi accorsi con stupore che la nostra relazione mutava col mutarsi della città. Più le spinte dal basso proponevano uno svago deviato e irrazionale, più noi ci chiudevamo a riccio per preservare la nostra intimità e complicità. Ma non sempre ciò che più ami può fiorire al buio di una stanza, protetto dalle fredde correnti del cambiamento. Quanto si può andare avanti facendo finta di nulla? Cosa ci tiene ancora insieme, il ricordo o il futuro?
Chi si avvicina ai 30 anni vive ogni giorno come un conflitto. Accelerare o frenare. Guardarsi indietro o progettare. Procrastinare o procrastinare assai. La strada dell’eccesso porta al palazzo della saggezza, sosteneva Blake evidentemente ancora strafatto di oppio e sconvolto dai primi sintomi dell’itterizia. Io a quel palazzo non ci arrivai mai. Mi fermai prima. Ma lei proseguì.
La vedo ancora oggi, mutata e mutante, che fa della propria bellezza l’unica carta giocabile per attirare le attenzioni su di sé. Non c’è gioia nei suoi occhi, non c’è memoria di quel che è stata. Vedo solo rassegnazione e consapevolezza che i ricorsi storici hanno cicli di vita ben più brevi di quelli che il Vico ci voleva rifilare.
Non l’ho potuta più guardare con gli stessi occhi.
La magia, come per incanto, era svanita.
Lei era di un altro.
Lei era di altri.
Lei era di tutti.
Come è sempre stato e sempre sarà, nonostante lo sguardo innamorato di un ragazzino che da questa città si era fatto rubare il cuore."

...e proseguo con la seconda parte, tratta da "Le città", canzone degli Uochi Toki:

"Bologna mi piace solo perché c’è un sacco di gente con cui litigare e tante costruzioni da osservare. Odio la multi-identità che questa città si porta dietro, odio la sua tradizione di libertà conservante, odio la gente non autoctona — cioè la maggior parte. Vedo flussi di gente come fiotti di sangue da ogni parte: risalgo la corrente per capire da dove parte questo flusso umano che mi coinvolge come un davanzale in marmo. Mi adatto nella misura in cui mi permetto di andare in giro e osservare come animali questi esemplari di umani, studentesse fuori sede ed universitari inconsciamente ipocriti in cerca di prede e di un passato da raccontare. E poi la ritualità di questo luogo influenza solo colui che ci crede, colui che non vede la data di scadenza sul ricambio generazionale, rischiando di trovarsi in una città, in un locale pieno di gente di passaggio, facendo finta di non stare invecchiando. Solo i veri duri possono abitare a Bologna, sfruttando la corrente del divertimento alternativo con il giusto peso negli occhi. Una città non può essere solo università, slogan, ebbrezza e ragazze. Guardate meglio!"


E mi sa che non ho altro da aggiungere. Per ora.



Fonti:
prima parte: "Scusa amore, si è fatta una certa" di Danji, pubblicato su (this) il 28/06/2013
https://thisnothat.wordpress.com/2013/06/28/scusa-amore-ma-si-e-fatta-una-certa/

seconda parte: "Le città" di Uochi Toki, pubblicato sull'album Laze Biose (2006) https://www.youtube.com/watch?v=ghkf84hMjTo

mercoledì 18 marzo 2015

Slip out the back (nove anni fa e dopodomani ancora)


Nove anni fa.
Un amico era preoccupato per la sua ex che affrontava il primo viaggio senza di lui. A distanza di anni, non posso dargli torto. Cioé, ce l'aveva, aveva torto... ma non posso darglielo lo stesso.

A me, ripensandoci, per quel che mi posso ricordare con il mio cervello che perde pesantemente MB e MB di cluster di memoria... mancavano solo i suoi messaggi.
"Solo".
Prima dell'epoca di whatsapp, prima degli smartphone, nell'epoca delle offerte dei 100 sms al mese, andare all'estero era una sorta di condanna a 160 caratteri al giorno, o poco più.
Più o meno, una sorta di comunicato stampa al giorno, più o meno dettagliato ed efficace a seconda della persona che avevi di fronte.
E con di fronte, intendo una fronte che spaziava anche di 800 km.

E a me, mancavano i suoi sms. Cioè lei.

A distanza di nove anni ricordo quei viaggi da Cento a Ferrara, ancora ignaro di quanto sarebbero stati pesanti anche dolorosi i due anni successivi, anche se ora non mi pesano così tanto. Sarà che pesa più il futuro, sempre.
Ma allora averti lontano senza poterti sentire pesava parecchio, e mi sorprendeva anche un po'.

So che non mi stai leggendo. Questi post del cacchio li leggono si e no 30 persone, le vedo le statistiche. E tu non sei tra quei 30.
Se stai leggendo, vuol dire che non sto parlando di te.

D'altronde... prendi Saviano: in quanti hanno LETTO "Zero zero zero", ad esempio?
La gente che scrive è così: magari ti conoscono di nome, di fama, magari hanno letto qualcosa di te... ma l'ultima stronzata che hai scritto non se la incula nessuno.
Grazie a Dio, mi è restata una vita sociale, potrei anche andare a puttane se volessi.
(no, non l'ho ancora fatto, nonostante quello che si può pensare in giro... sembra strano, ma ancora no. pensa te! si può apprezzare l'est europa anche per altri motivi)

E niente, di quei viaggi di 32 km che non si inculava nessuno, e nemmeno io in fondo, non è rimasto niente, nulla, neanche questo post. Solo quel sentimento di futuro che faceva paura ma stimolava.

Faceva paura ma stimolava. Sentivo che stavo crescendo, invecchiando, maturando, e potevo chiamarlo come volevo, ma era importante e necessario.

E ora è tutto diverso, e uguale, o uguale, o diverso, o vaffanculo.

Bastava un tuo sms, una volta.

Ora di cosa abbiamo bisogno?

E' solo questione di tempo, e il tempo non va misurato in 24 ore.


venerdì 6 febbraio 2015

Io, te

Che cosa c'è che non va?
Che cosa c'è che ti davvero fastidio?

Ti osservi gli occhi e le occhiaie, la pupilla è dilatata di stanchezza, e la tua iride è la stessa di quando qualcuno ti ha detto ti amo, tanto tempo fa.
Ti trascini lenta e stanca fuori da un letto, dentro e fuori dal pigiama e da vestiti che non sono mai all'altezza di quello che dovresti essere, ma non fa niente, non verrà a dirti niente nessuno.
Anche i capelli, raccolti in una coda, sono trascurati. Ma non hai il tempo, e soprattutto, la voglia di tenerti dietro, di tenerti da conto, in questo lungo protrarsi.
Ti senti rassegnata, disillusa, ma ancora ti spazientisci in fretta, come se davvero tu avessi qualcosa da perdere. Quando invece, sai benissimo che non c'è: e il tuo spazientire serve soltanto a ribadire un tuo diritto, a rimarcare il territorio, a difendere un qualcosa che non c'è più.
Non solo ti senti gonfia, ti accorgi che lo sei davvero, e non sono le mestruazioni: è davvero il tuo metabolismo che è cambiato, e senza fare attività sportiva, senza prestare attenzione all'alimentazione, la tua pancia non farà altro che gonfiarsi, aumentando in maniera direttamente proporzionale lo scatolone Ikea dei vestiti che non vanno più bene, ma che potrebbero tornare ad andarti bene.
E ormai dentro c'è roba che non metti da 2-3 anni, e che forse non tornerà mai più ad andarti bene, ma non vuoi rassegnarti all'idea di essere stata sconfitta dal tempo, o peggio ancora, dalla tua stessa pigrizia.
Così come non sospetti l'idea che una volta al mese il tuo umore si guasti irrimediabilmente, e che ti senti costretta a tamponare quella tua emorragia. Ben consapevole che è normale anche quel desiderio di maternità che dovresti avere, ogni tanto.
E che invece non hai, e non sai perché. Forse vorresti avere un desiderio che non hai, e questo pensiero intricato basta a farti capire che si, le mestruazioni sono di nuovo in arrivo, con il loro maledetto maldipancia, tutone, divano, e quel sentirti brutta e inguardabile.
Che è un tuo diritto.
Le foto di quando eri giovane e splendente, ventenne ed abbronzata, si fanno beffe di te dalle pareti del tuo piccolo appartamento, insieme a quei capelli lunghi che ora non vanno più di moda.
Per fortuna.
Perché comunque nemmeno ora ci stai dietro, ai capelli.
E nemmeno alla tua abbronzatura. Sia d'inverno che d'estate. E vale lo stesso per la tua pelle. Ci sono già i segni indelebili del tempo che passa, piccoli segni ma inesorabili.
Una volta lui ti ha detto che ti davano una femminilità incredibile, che ti facevano donna, che eri ancora più bella.
Probabilmente te l'ha detto solo per scoparti.
Probabilmente però lo pensava davvero.
Probabilmente ti amava davvero.
E sicuramente è stato così.
Però adesso sorride felice in altre foto su facebook, e non ti è dato di sapere se sia felice veramente nella sua nuova vita, sai solo che è finita e basta così.
Mentre tua sorella sta per diventare madre, tuo fratello sta per laurearsi, e tu resti sempre quella di mezza, quella in mezzo, quella che non riesce mai a trovare la sua dimensione.
Eppure il lavoro è sicuro o quasi, e anche se a volte non lo sopporti, non riesci a immaginarti altrove. Non sopporti la provincia ma non riesci a immaginarti nelle metropoli.
Non riesci neanche più a uscire di casa, a volte, e preferisci un libro, un the caldo, una serie scaricata da internet, tutte cose che riempiono la tua solitudine si, ma di tristezza. Ma quale sarebbe, poi l'alternativa?
Perché di uscire non se ne parla. Uscire poi con chi? Uscire per dove? Sono sempre meno le amiche con cui poter condividere due parole vere.
Non hai più voglia di restaurarti tutta per una fintissima serata, di quelle che sembrano rievocazioni storiche, di tipe molto più vecchie di te che mollano marito e figli per sentirsi libere una sera al mese, in mezzo ad una giungla di uomini disparati e disperati.
Per trovarsi un quarantenne viscido pronto a toccare il culo. Ma che cazzo toccano poi, che lo vadano a toccare a quelle puttane la, che ce l'hanno meglio del tuo, e che con 200 euro se la cavano.
Tanto 200 euro loro ce li hanno, da spendere.
Tu no.
Sfogli con tristezza i voli low-cost, ben sapendo che non ne prenderai nessuno.
E' da tanto che non fai una vacanza.
E' da tanto che non ti ubriachi.
E' da tanto che non hai un orgasmo, che non ascolti Niccolò Fabi, che non ridi davvero, e soprattutto che non sorridi.
Non ti senti amata. Non ti ami neanche più da sola. Inizi a non provare niente riguardo tante cose, sensazioni, persone.
Dicono che stai cambiando, che stai diventando una persona grigia, ma no, no, non è così.
Forse dovresti scopare di più, dicono.
E con chi? Con il primo che passa? Per fare cosa? Per una triste serata inutile, spesso con una persona sudicia e sgodevole che non sa nemmeno scopare come si deve? Molto meglio la masturbazione, ne sei sicura.
Ma anche quella non la pratichi da parecchio. Non ti interessa. Non ne hai voglia.
Ti guardi allo specchio e non ti piaci, sai di non essere più una bella persona, ma cosa ci vuoi fare? Odi anche il tuo eccesso di pensiero, la tua incapacità di vivere la vita per quello che è, e la tua incapacità a reagire a tutto questo.
Eppure un tempo c'è stato anche qualcuno in grado di accorgersi di te, e guardarti. Guardarti davvero.
Ora il cuore è arido, il cielo è grigio, quasi bianco, e nemmeno la neve potrà cambiare il colore che ti senti addosso.
Ti senti vecchia eppure sono solo 28 anni, quasi 29, e non dovresti sentirti vecchia perché non sono trenta, o quaranta, o peggio. Eppure ti senti rimasta indietro, lasciata fuori, e non capisci neanche da cosa.
Il tuo facebook si riempie di fidanzamenti, matrimoni, bambini, e il tasto nascondi non basta mai a coprire tutto quello che non vorresti vedere.
E non sono gli anelli o i passeggini a darti fastidio: è l'idea di restare fermi al palo mentre tutti vanno avanti. Perché gli altri si e tu no? Cos'hai sbagliato?
Un'altra giornata è finita, e ora puoi tornare a sdraiarti nel tuo letto a fare scendere piano le tue lacrime.
Ti stanno per venire - ti sono venute.
Tanto non avevi dubbi, a non fare sesso non si resta incinte.
E' che a non vivere, si rischia di morire.

E se devono venirti a prendere - chiunque sia: Dio, l'angelo della morte, il principe azzurro, o semplicemente Alex Del Piero - possono venire domani, che è il giorno buono.

Eppure sei sicura di non essere da sola: deve esserci qualcuno come te con cui condividere tutto questo. E forse la tua vita avrà senso fino a che non troverai quelle persone.
Forse.
E per ora basta questo per alzarsi dal letto, asciugare le lacrime, cambiare l'assordente, e prepararti ad un'altra giornata, con la grinta che neanche Michela Cerruti quando gioca a Need For Speed Underground.

Dog days will soon be over.

lunedì 26 gennaio 2015

Non sono gli anni, sono i chilometri.

Non sono gli anni, sono i chilometri.
Le giornate sono piene di impegni e accadimenti, mattoni utili alla costruzione di edifici senza alcun scopo. Manca una direzione o un obiettivo preciso alla base delle giornate, eppure queste si svolgono comunque, come se in fondo ci fosse addirittura un progetto ancora più grande, incompreso o incomprensibile.
Nessuna ragionevole prospettiva di sviluppo a lungo termine, piccole situazione brevi ed effimere, a lenire temporaneamente un disagio più profondo e prolungato.
Ho notato che apprezzo molto di più le cose brevissime, per le quali arrivo anche a esprimere la mia approvazione sorridendo, o ridendo. E smentendo i luoghi comuni a riguardo, non è per nulla vero che questo sia per forza un bel segnale.
Non è proprio un segnale.
E' una cosa e basta. Per quanto sia positiva in sé e per sé non deve per forza esprimere un qualcosa su qualcos'altro, che invece, evidentemente, non va così altrettanto bene.
Si tratta di una lunga e prolunga situazione macchinosa, parecchio lenta e complessa, in cui gradualmente si entra in contatto. E tutti gli sforzi per allontanare questa situazione, paradossalmente, hanno sortito l'effetto opposto, avvicinando questo blocco di cose.
Può anche assomigliare parecchio ad una situazione detentiva, probabilmente, una sorta di custodia cautelare, in talune circostanze specifiche.
La libertà esiste nella misura in cui si è in grado di coglierla, esprimendo le proprie scelte.
E' un blocco pesantissimo e terribile, nel momento in cui per l'appunto non si sta parlando di fatti specifici o particolari, e semplicemente, vi è proprio l'assenza totale di fatti, di accadimenti di alcun tipo.
Probabilmente e gradualmente questo blocco di cose andrà a smontarsi, gradualmente, e darà il via, più o meno velocemente, ad un nuovo corso.
Non c'è quindi nessuna reale preoccupazione in tutto questo, è solo una lenta e probabilmente noiosa analisi di ciò che appare da dentro le finestre.
Tutto questo non sarà abbastanza terribile per forzarne il suo corso, durante queste giornate, né per impedire un sonno pressoché regolare.
Il domani arriverà anche domani e tutte queste costruzioni saranno ancora in piedi ad aspettarci, e con pacifica e rassegnazione porteremo avanti un'altra parte di progetto, fino a quando invertiremo le cose.
Forse non a breve termine, ma con la tranquillità di chi immaginerà che prima o poi troverà il modo, proprio perché, nonostante la situazione avversa, ha le capacità di trovarlo.
Buona serata.

Ah e poi è un mese che non scrivo un cazzo, a parte il pippone qui sopra. Ma riprendo, eh.


giovedì 8 gennaio 2015

DIVANO - Rimedi per ulcere in bocca, piaghe nelle gambe, rogna, magrezza, stitichezza e malinconia

Eccoci qui, un altro intervento a parlare di musica. (tranquilli, prima o poi torno ai miei soliti deliri pseudonarrativi e psicoesistenziali).

Il pomeriggio del 31 dicembre mi arriva un bel messaggio da facebook... no, non è una figa, è Francesco Pizzinelli, fresco leader di (dei?) Divano, di cui recentemente ho parlato qui. Mi contatta per donarmi l'anteprima del suo nuovo album, che si intitola "Rimedi per ulcere in bocca, piaghe nelle gambe, rogna, magrezza, stitichezza e malinconia" ed uscirà il 2 febbraio per la Cabezon Records.
Ed è un piacevolissimo regalo di Natale in ritardo (o di buon anno in anticipo... ma esistono i regali di buon anno, escluse le ex 50mila - ora 50euro - delle nonne?).


Comincio ad ascoltarlo, felice di questa anteprima in esclusiva per il mio Blogorroico, e... ed eccomi al primo dubbio: nonostante ci siano parecchie cose in comune, ho assodato che si tratta di un progetto nuovo (vedi recensione precedente)... è giusto continuare il confronto con Jocelyn Pulsar?
Ovviamente, no.
Però è giusto citarlo, questo Jocelyn Pulsar... perché se state scoprendo ora Divano, beh, forse allora vale la pena di farsi un giro su Spotify e Youtube e andare a scoprire quello che vi siete persi nella precedente carriera di Pizzinelli.

8 brani, in questo "Rimedi..." (mi si perdoni, ma d'ora in poi lo abbrevierò così) c'è un respiro parecchio ampio... dal già citato pop-reggae di "Il pezzo è bello se lo canta mia nonna", singolo di apertura, trovano spazio anche una ballata dolceamara come "Canzone di quando va tutto bene", e sonorità rock come nella traccia di apertura "Don Paolo" e in (manco a dirlo) "Smashing Pumpkins". Ogni tanto echeggia un basso funkeggiante... ma prevalentemente direi tanto pop, nel senso genuino del termine, popular... ed è un bel pop suonato. E' un disco che suona da band, infatti, con una discreta cura per gli arrangiamenti, senza che tuttavia questa vada a sovrastare lo stile cantautorale di Francesco.
La vena di Pizzinelli non si smentisce, e così abbiamo una "Dino Valdi" a rendere omaggio alla storica controfigura di Totò, personaggio un po' finito nel dimenticatoio, dopo la sua scomparsa.
Ed è bello notare come ci siano ancora le tematiche di coppia, sempre affrontate da Pizzinelli in maniera pungente e diretta, a volte quasi fastidiosa nello snocciolare la quotidianità senza giri di parole, ma con tanta autoironia.
E forse questi "Rimedi..." funzionano davvero, perché c'è davvero un'energia positiva che fuoriesce da questo lavoro.
"Perché ingrandirsi e diventare grandi, sono due cose diverse" canta Francesco in Smashing Pumpkins. Forse c'è un riferimento a sé stesso?
Non lo so, di certo posso dire che sia riuscito in entrambe le cose: si è ingrandito, nel senso che ha "promosso" gli altri precedenti musicisti di supporto (Davide Zozzi alla batteria, Mario Ingrassia alle chitarre e al piano, Davide Ponti al basso) nel progetto DIVANO... ed è diventato grande: oltre alla maturità anagrafica che inesorabile arriva per tutti, qui c'è anche un lavoro a testimonianza di una maturità artistica... che non so cosa voglia dire, poi: però come tutti i frutti maturi, questo "Rimedi..." è pronto ad essere colto.
In preorder su iTunes dal 19 gennaio, in download dal 2 febbraio... coraggio: i vostri malanni hanno i giorni contati! Parola di Divano.