martedì 23 luglio 2024

Abbracciati dal tuo silenzio - Vale in the sky with the bretzels


Passo di fianco alla mensola dei libri di serie B, dei trofei caduti in prescrizione, delle bottiglie vuote che non so più mettere, e ritrovo il tuo sguardo.

Ok bello l'inizio del post, in realtà mi sei tornata in mente e sono tornato nello studiolo a riguardare la tua foto, probabilmente anche un po' impolverata, ma nel dubbio evito di passarci un dito sopra.

Con quel sorriso lì, di una che sta per mettersi a ridere.

Chissà dov'è stata scattata quella foto - sembra quasi un matrimonio, o giù di lì - ma anche poi chi cazzo se ne frega. Potrei scoprirlo chiedendolo a qualcuno, o con una ricerca negli anfratti di Facebook, ma la verità è che non me ne frega niente, perché non cambia la sostanza.

Magari era un matrimonio, magari c'ero pure io, magari ci sono anche delle foto di me dove ho sicuramente uno sguardo meno lucido.

Non so se è di te che vorrei parlare - ne ho poi diritto? Ho diritto a rispolverare sentimenti, gioie, dolori, pensieri, legati a te? Te che non ci sei più, che non hai più diritto di replica.

Forse sbaglierò, ma solo chi non fa un cazzo non sbaglia mai: quindi rischiando di sbagliare, andrò avanti lo stesso, pensando che forse tu stessa mi avresti detto "mo sè valà di bèn che vadano a spendere, fossero questi i problemi"... o qualcosa del genere, nel tuo pragmatismo renazzese, farcito di forme dialettali.

Chiedo quindi scusa in anticipo se qualcuno si sentisse offeso da quello che sto scrivendo, ovviamente non è questo lo scopo... ma tendenzialmente perché non c'ho voglia, non c'ho voglia di fare un cazzo di mio, figurati se ho anche il tempo e la voglia di mettermi a scrivere per offendere qualcuno.

Neanche se mi pagano, ma tanto non mi pagano.

Alla fine, scrivo, e ho sempre scritto, per me, in primis: se poi i miei gusti personali riguardo me stesso, hanno coinciso con quelli di altri, tanto di guadagnato.

Per me, per voi: per voi, per me.

Ad occhio sono più di cinque anni, che non sei più tra noi. Le frasi fatte sulla morte sono forse una cosa delle più divertenti, mi ricordano tanto quell'universo di frasi fatte e di circostanza che circonda un certo mondo giornalistico (ed in particolare quello sportivo).

La morte fa parte della vita, prima o poi ne facciamo tutti esperienza in modo più o meno forte.

Sono rimasto orfano di madre abbastanza giovane, quindi è logico che possa venire da pensare che ho fatto una sorta di vaccino contro certe cose... o che magari ho un chiodo più grande ancora da scacciare.

Eh amici, purtroppo no: non funziona esattamente così. Per fortuna o purtroppo, ma non è così: perlomeno non per me.

Ma non voglio perdermi in un discorso più grande (perlomeno più grande di me) e mi fermo alla conclusione: la tua partenza, a me, non è ancora andata giù del tutto.

Bella forza, a chi è che può andare giù la scomparsa di una amica, madre e moglie 34enne? Penso a nessuno, anche ragionandoci con razionalità.

Però, mentre in tante altre situazioni una ragione, un senso anche quando un senso non ce l'ha, me lo sono dato.

Qui, fatico ancora, e l'unica banale e semplice conclusione che mi sono dato, è che qui la quadra tocca trovarla a chi è restato.

D'altronde, tu il tuo l'hai già fatto: e ti immagino lamentarti di tutti contributi INPS versati senza mai andare in pensione, con la presa per il culo finale che la reversibilità, se poi c'è, non te la prendi nemmeno te.

Neanche puoi andare a prenderti una bella borsa o un paio di scarpe. Tutte quelle ore di collegio docenti...

Che inculata, la vita, eh?

Ah, avessimo alternative, allora poi.

Mi piacerebbe ancora ritrovarti da Cucco, magari di nuovo con un passeggino, o con tutti i mezzi e gadget che il capitalismo unito alla genitorialità possono spingerti a spingere in giro... e invece ogni tanto ritrovo parte della tua famiglia, in qui qualcuno ha il mio stesso nome di battesimo.

Infatti qualche volta mi sono anche voltato con stupore, che di solito con il nome di battesimo mi chiamano i familiari quando sono incazzati.

Ma è tutto nella mia testa, ora.
E in questo assordante silenzio, mi torna in mente Piero Ciampi, con quella "assenza" che è un "assedio", ripreso da Vasco Brondi quando ancora sotto le Luci della sua Montedison Elettrica diceva che siamo "assediati dal quello che manca".

Non credo ti sarebbe piaciuta questa terminologia bellica, forse avresti detto che non sei né Putin né Israele: e hai ragione tu, è tutto un film che ci stiamo facendo noi.

E allora in questo caso suona meglio - e sono d'accordo preferiresti anche tu questa forma - dire che siamo abbracciati dal tuo silenzio, ed è una bella consolazione, di questi tempi, credimi (ma hai visto quanto costa adesso al supermercato il caffè Pellini? Quella per la macchina, che io faccio colazione da solo e non faccio la moka... Signora mia e "Nonna" nostra, dove andremo a finire?)

E mi viene anche in mente il buon Vasco (Rossi) senile, quello del "eh già siamo ancora qua". E' poi facile per lui, che effettivamente riempie ancora gli stadi.

Fa più effetti pensare a te, che invece, sei comunque ancora qua. Quasi in smartworking. Va mo là.

E allora niente, qua il senso che ci sia o non ci sia ce lo diamo noi, tu il tuo l'hai già fatto: noi testa bassa e pedalare.

C'è solo una cosa, che non mi torna, senza voler scomodare religioni e misticismo, ma nemmeno un Lele Adani ubriaco di garra charrua: è che spesso si dice "sconfitta da un brutto male", "ha perso la battaglia con la malattia", ecc. ecc.

A quale sport stiamo giocando?

Perché se è uno sport di squadra (e forse lo è?) allora il risultato finale si guarda alla fine.

E io, boh, io non sono così sicuro che il risultato finale di questa partita sia una sconfitta. Mi sa che ci sia qualcuno ancora dietro a giocarla.


Magari puzzando di patatine fritte, come quelli che dal 26 al 28 luglio sono al parco dei Gorghi di Renazzo per il Woodstock.

Dove ancora mi aspetto di vederti con un cestino di bretzel in mano anche se ci sono 32 gradi, dove poi forse ti vedo tutti gli anni.


Non c'è sconfitta nel cuore di lotta: non c'è assenza nel cuore di chi ama.


(o qualcosa del genere, magari andate a trovare una frase migliore su chatgpt - ok Vale lo so che non la sai usare l'intelligenza artificiale - adesso ti cerco io una bella frase e te la mando su whatsapp - tu portami un bretzel e già che ci sei una Augustiner media, grazie)


P.S. Un silenzioso abbraccio, questa volta terreno, a chi continua a giocare la partita anche per la Valentina.

martedì 16 aprile 2024

Quaranta sono troppi - Aspettative e disillusioni da un mercato di riparazione


Milano, gennaio 1998.

Paulo Manuel Carvalho de Sousa, noto ai più semplicemente come Paulo Sousa, è un calciatore portoghese in cerca di riscatto.
27 anni, centrocampista, presenza fissa della nazionale del suo paese (con la quale ha disputato la fase finale del mitologico Euro '96 in Inghilterra), con la quale si è laureato campione del mondo under-20 nel 1989.
A livello di club ha già conquistato 10 trofei, tra cui due Champions League consecutive (con la Juventus nel 1996 e l'anno successivo con il Borussia Dortmund) e un scudetto (sempre con la Juve, nel 94/95).
Il biennio a Torino lo ha consacrato tra i migliori mediani della scena internazionale, anche se soffre spesso di problemi alle ginocchia, che ne stanno condizionando sempre di più il rendimento.

Il suo arrivo a Milano, sponda Inter, nel gennaio 1998, rappresenta per lui una nuova sfida: con il suo ritorno nello stivale punta allo Scudetto (che manca ai nerazzurri da 9 anni).
Il suo manager è lo stesso di Ronaldo (il Fenomeno, quello vero) e questo gli ha dato modo di parlare con lui e farsi convincere.
C’era il migliore al mondo in quel momento, ovvero Ronaldo. Loro condividevano la mia mentalità, perché volevano vincere tutte le partite avrà modo di dire diversi anni dopo.

In effetti l'Inter è in corsa anche per la Coppa Uefa: ma Paulo Sousa, avendo già giocato in Champions League per il Borussia, non può entrare nelle liste Uefa dei nerazzurri.

L'Inter, guidata da Mister Simoni, ha avviato da pochi anni il grande periodo morattiano: acquisti di giocatori a spron battuto, tra grandiosi intuizioni (Roberto Carlos, Javier Zanetti, Ivan Zamorano, Djorkaeff, Recoba, Simeone) e clamorosi bidoni (Rambert, Caio, Sforza) ed inspiegabili cessioni (quella di Robert Carlos su tutte). L'acquisto senza dubbio più importante è però quello di Luiz Nazario da Lima, detto Ronaldo, poi noto come "il Fenomeno".
Dopo un paio di annate incolori, la stagione 97-98 sembra quella buona, e guidata da Ronaldo, appunto, l'Inter sogna di riportare sulla maglia lo scudetto che manca ormai da 10 anni.

Il mercato di riparazione è sostanzioso, proprio in vista di una seconda parte di stagione dove l'Inter vuole lottare su tre fronti (anche se a gennaio uscirà malamente ai quarti della Coppa Italia contro i cugini del Milan, che rifileranno un sonorissimo 5-0 già all'andata).
Escono Massimo Tarantino, Nicolino Berti, Massimo Paganin, Branca e Ganz: arrivano Colonnese, Martin Rivas, Mauro Milanese e lui, Paulo Sousa.

Da poche stagioni l'Italia, così come il resto d'Europa, si è adeguata alla numerazione fissa sulle maglie, con tanto di nome, e le società ancora bene o male assegnano i numeri preferendo la scelta dei numeri al di sotto del 30. Numeri che, ancora, non sono sostituibili (come invece accade oggi).
Ad esempio, il numero 3 di Tarantino, anche se mai utilizzato in campionato, al momento della sua partenza per Bologna non può essere utilizzato dal nuovo arrivato Colonnese, che opta per il 33.

Appena due anni prima il Bel Paese aveva commentato con disappunto il numero 30 di Vieira, arrivato a gennaio al Milan, e quando Paulo Sousa è costretto a scegliere il numero 40, scoppia il finimondo.
40.
Quaranta.


Siamo a gennaio, e l'Inter ha già avuto in rosa 40 giocatori. In campo ne vanno 11: vero è che la panchina da questa stagione è salita a 7, ma al netto delle cessioni, ne resta sempre almeno il doppio in tribuna.

Questo porterà ad una innumerevole serie di gag e battute, che si protrarranno per anni, anche a causa del proseguirsi di insuccessi sulla sponda nerazzurra di Milano.
Ad esempio, gli interisti Ficarra e Picone costruiranno proprio uno sketch sulla famosa "panchina lunga".


Come va a finire questa storia? Il big match tra Inter e Juve, lo scontro di Ronaldo contro Iuliano, il rigore che c'era e che non c'era, la Juve che vince lo scudetto, l'Inter che (senza Paulo Sousa) vince la Coppa Uefa.
Il nostro portoghese resterà poi a Milano per un'altra stagione e mezza, cominciando la sua parabola discendente, senza più nessun trofeo, e tra infortuni e problemi fisici vari sarà costretto al ritiro a soli 32 anni, dopo essere passato anche dal Parma (in piena epoca Tanzi).

Oggi Paulo Sousa è un allenatore, e in ordine sparso, è tornato in Italia con esperienze non molto convincenti con Fiorentina e Salernitana, ha guidato la nazionale polacca ad Euro 2020, il Flamengo, e vinto due campionati (quello svizzero con il Basilea e quello isrealiano con il Maccabi Haifa), oltre a due Supercoppe e una Coppa di Lega in Ungheria, con il Videoton.
Una onestissima carriera, anche se sicuramente ancora non all'altezza di quella che ha avuto in campo.

E ora che quel lungo capello castano si è accorciato, lasciando spazio ad un capello bianco con una acconciatura più simile all'odierno Ligabue, ci resta quest'ultimo momento di rilievo del Paulo Sousa calciatore.
Quando ancora quello Scudetto poteva essere interista.
Quando ancora Paulo poteva tornare sulla cresta dell'onda del calcio, calcandone i palcoscenici più prestigiosi, da protagonista.
Quando ancora si diceva che quaranta fossero troppi.

E invece.


lunedì 22 gennaio 2024

Sono tornato solo per controllare se avevo staccato il gas


Freddo, prevalentemente e principalmente freddo, nelle luci di chi non ha problemi con i limiti dei 30 km/h delle metropoli.

Mura e palazzi orfani delle parole di Vasco Brondi, in una provincia che cambia e non cambia, sempre pronta al lento ma progressivo ricambio generazionale dei bar.

Un passo alla volta, sui marciapiedi sconnessi, laddove i pedoni sono sempre l'ultimo pensiero di ogni cantiere e lavori in corso.

Una leggera ebrezza, quel senso di equilibrio di chi continua gioca a fare il Pippo Inzaghi con l'etilometro, perennemente sul filo del fuorigioco della patente.

Alla fine sei passato al Campari, giusto perché l'Aperol ti ha rotto il cazzo: c'è voluta una vita, ma ce l'hai fatta.

E un'altra Ford che passa, senza nessuna storia, senza nessuna possibilità di entrare mai nel registro delle auto storiche, col suo carico di seggiolini a norma.

Vorresti sbloccare il risultato - ora - ma sarebbe troppo presto. Le partite durano 90 minuti, e a volte anche 180, ma questo è un campionato difficile.

Non segneresti, non segnerai.

Alla fine, avevi ragione, alla fine non è nemmeno un brutto posto in cui vivere. C'è voluta una vita, ma l'hai capito: ce l'hai fatta.

E intanto i bar aprono e chiudono, le macchine passano, le lampadine si fulminano, i marciapiedi si sgretolano, davanti agli assessori comunali e alle tessere elettorali che si riempiono di timbri.

Anche Wilshere ha smesso di giocare, sembra siate rimasti solo tu, Fernando Alonso e Carlos Sainz (senior) a non volersi rassegnare al tempo che passa. Eppure non sei loro, né tantomeno il Kazu Miura, il tempo passa comunque e anche su di te lascia i suoi segni. Inesorabili.

Quanto - è lontana - la pace?

Quanta guerra - ancora - per chi non l'hai mai vissuta - davvero?



domenica 21 agosto 2022

Being There 25 Years Ago

Oasis - Be Here Now


Quando è finito il britpop?

L'argomento è ampiamente dibattuto. Secondo una scuola di pensiero che indica la fine di quell'epoca quando Gareth Southgate sbagliò il sesto rigore nella semifinale degli europei di calcio del 1996, consegnando la vittoria e l'accesso alla finale agli acerrimi nemici tedeschi.

(noi quell'anno uscimmo al primo turno)

Per chi non fosse abbastanza appassionato di cultura pop britannica, il rigore di Southgate è pesato parecchio ai nostri amici d'albione, tanto che quasi un quarto di secolo dopo se ne trovano a chiacchierare il principe William con lo stesso Southgate.

(vi immaginate Mattarella che chiacchiera con Roby Baggio del rigore di Pasadena?)

Per cancellare quest'onta... o perlomeno, per andarci sopra, servirà la finale di Euro 2020, giocata nel 2021, quando invece saranno gli errori di Rashford, Sancho e Saka a dare una nuova delusione (e pure più grossa) di quella precedente. Ma questa, come ben sapete, è un'altra storia. (Anche se Southgate ne è comunque tra i protagonisti, stavolta in veste di C.T. dell'Inghilterra).

Torniamo a noi: il britpop finì davvero a Wembley, con quel rigore, il 26 giugno 1996?

Di Euro 96 ne parla spesso anche l'Ultimo Uomo (ad esempio qui) e la stessa domanda se la anche il The Guardian (qui): se sul legame tra calcio e la musica d'oltremanico si è universalmente concordi, le opinioni si fanno meno uniformi sulla linea da tracciare per identificare il termine di quell'epoca.

Se il buon Gareth non ha delimitato il termine di quei fasti gloriosi, di quella fine ne ha comunque segnato l'inizio.

Anche Wikipedia, a spanne, indica la fine del britpop nel 1997: anno in cui uscì Blur, l'omonimo album della band londinese contenente Song 2 (che di britpop non ha nulla) e Be Here Now, che usciva proprio il 21 agosto di venticinque anni fa.

E' forse la fine del britpop? Non saprei: se questo genere fosse un film, Be Here Now ne sarebbe probabilmente l'ultima malinconica scena.


Elicotteri, fumogeni, parka, guerriglia di periferia: dite che è abbastanza per aprire il terzo album?

Concepito a fine 1996 dai fratelli Gallagher, tra nuvole di cocaina e altri eccessi di ogni tipo, la critica lo osanna all'indomani dell'uscita, per poi fare marcia indietro e ritrattare nei mesi seguenti.

Noel lo giudica il peggior album della band, e farà in modo di ignorarlo nel doppio best of Stop The Clocks: Liam non ne è così dispiaciuto, ma è opinione comune che l'album non sia assolutamente all'altezza delle due gemme precedenti, Definitely Maybe e What's the Story Morning Glory.

Nel giudizio pesano una sovra produzione eccessiva, sonorità macchinose e ridondanti, chitarre registrate fino a 10 volte una sopra l'altra, coda strumentali eterne (con introduzione altrettanto lunghe) per un totale di 71 minuti.

Intendiamoci: le hit non mancano, a partire da Stand By Me fino a Don't Go Away, senza disdegnare D'You Know What I Mean e All Around The World.

Infatti Noel ne curerà nel 2016 una special edition, con tanto di demo, live, e un riarrangiamento di D'You Know What I Mean (chiamato "NG rethink") , che ripulita della "sovraproduzione" del tempo forse è più incisiva e lascia respiro ad un arrangiamento più radiofonico, ma perde quella sporca patina britpop che tanto contraddistigueva appunto la band all'epoca.

(a voi così piace? a me no)

Comunque, va detto, altre band lancerebbero la propria carriera con questo album: eppure, gli Oasis erano già diventati "bigger than Jesus" o "more important than God" che dir si voglia. Per dirlo con parole mie: il mito degli Oasis era ormai più grande di loro, non avrebbero mai potuto produrre più niente che potesse tenere testa alla loro fama.

A mio avviso, nonostante tutto, resta più debole il successivo Standing on the Shoulder of Giants, sia nei pezzi che nella produzione.

Be Here Now resta una sorta di epitaffio, una sorta di ultimo tentativo, un po' come quando vai in discoteca e ti accorgi che ormai sei troppo vecchio per fare questa cosa e ti resta questo ricordo sfuocato e annacquato dall'alcol di un estremo ultimo tentativo fuori tempo massimo.

Cioè una cosa che non ho ancora provato.

Ed è per questo che comunque a me quest'album piace un sacco lo stesso.

Anche perché fu uno dei primi album che mi regalarono. Ed era in cassetta! O come diremmo correttamente oggi, in musicassetta.

In 25 anni, ne cambiano di cose. Eppure...



lunedì 19 luglio 2021

BOMBAY (ovvero il film "Yesterday" ma girato in Italia)

 ATTENZIONE: quello che state per leggere contiene inevitabilmente spoiler sul film "Yesterday" (Regno Unito 2019, regia di Danny Boyle, con Himesh Patel e Lily James).
Quindi, se ancora non l'avete visto, prima di leggere il post andate a recuperarlo (ora ad esempio lo trovate su Prime Video).

trailer di Yesterday


State per leggere la versione italiana di Yesterday: ovvero, cosa succederebbe se in Italia tutti ci dimenticassimo di CALCUTTA?


BOMBAY

(Italia, 2022)

Soggetto di Paolo Plinio Albera ( @myspiace )

Regia di Sydney Sibilia

Sceneggiatura di Enrico Atti, Joao Pez Lazzaroni e Nicholas Pettersauber


Italia, 2021. In un mondo che fatica ad uscire dalla pandemia, l'Italia fa ancora più fatica degli altri paesi. Paolo (interpretato da uno straordinario Edoardo Leo) è un giovane ma non più giovanissimo copywriter freelance, alle prese con i 600 euro, i mancati incassi, i mancati lavori, la mancata mutua, le mancate ferie, le mancate tutele: insomma, le mancanze.

Tra queste mancanze, non ultima, la musica: in gioventù ebbe un discreto successo locale con una band indie-rock (gli -Smog!), ma ora passa le sue tristi serate a cercare di scrivere il pezzo per sfondare, e finalmente, coronare il suo sogno: pagare l'affitto facendo il cantautore, proprio come Calcutta.

I pochi brani caricati sul soundcloud incontrano solo l'approvazione della sua migliore amica Sara (una irreprensibile Michela Giraud), con la quale vive un rapporto di "forse ci sta, forse no" da troppi anni. Lei gli promette che prima o poi riuscirà a organizzargli qualche data in giro: eppure, alla fin della fiera, lei non gliel'ha mai data. La data. E nemmeno quell'altra cosa.

Un bel giorno, mentre Paolo torna sconsolato dall'ennesima serata in cui ha fatto sentire i suoi pezzi a Sara, l'Italia è preda di un blackout nazionale. Proprio in quel momento un tram manca la frenata di emergenza e si stampa sul bel faccione di Paolo, che passa 24 ore in coma farmacologico prima di risvegliarsi senza alcun danno permanente.

Alle sue dimissioni dall'ospedale, i medici consigliano molto riposo e un po' di Paracetamolo, in caso si riacutizzino dolori o sintomi influenzali.

"Mi hanno dato una Tachipirina 500, ma se ne prendo due, diventano 1000!" scherza a casa di Sara.
"Si vabbè Paolo, ho capito che hai picchiato la testa, ma non è che questo può sdoganare tutte le tue battute di merda."
"Ma come Sara, dai, è Paracetamolo, la canzone di Calcutta."
"Chi?"
"Dai!"
E così imbraccia la chitarra (quella classica, lo scassone con cui imparò a suonare vent'anni prima, che la chitarra buona è finita sotto le ruote del tram e nessuno c'ha i soldi per regalargliene una nuova) e suona Paracetamolo.

Sara lo guarda strabiliata.
"Paolo! Sai che... fa cagare, ma funziona? Sempre un po' una roba di Rino Gaetano in hangover. Quando l'hai scritta?"

Paolo intuisce che qualcosa non funziona, e così scopre la verità: nel blackout in cui si è scontrato con il tram, l'Italia ha incredibilmente dimenticato Calcutta.
E non solo lui: Gazzelle, Galeffi, i Viito, Fulminacci... tutti scomparsi. Coez fa rap, Carl Brave e Franco 126 fanno trap, i Thegiornalisti non si sono mai sciolti ma dopo l'insuccesso di "Completamente Soli" ora faticano a riempire i locali.
Anche Sanremo, è radicalmente diverso: l'ultima edizione ha visto sul palco dell'Ariston gente tipo Biagio Antonacci, Iva Zanicchi, la reunion dei Pooh, Valeria Rossi e Marco Carta.
Dell'it pop, nessuna traccia. L'indie italiano è ancora intaccato, uno sparuto raduno sotterraneo di rockers alternativi, sfigati, e radical chic di bassa lega, che vagano per locali e circoli Arci tra Milano, Roma e Bologna.

E qui, Paolo, ha l'illuminazione: usare i pezzi di Calcutta per diventare famoso, come lo diventò lui.

Così registra i primi demo, li carica su Soundcloud, mette qualche video su Vimeo, e spero che il pubblico si accorga di lui.
Purtroppo, non succede niente, fino a che un giorno gli scrive su Instagram un certo Mattia Bolognesi (interprato da un molto convicente Guglielmo Scilla) , produttore della Goikoetxea Dischi. "Mi piacciono i tuoi demo, voglio farti fare un EP! Però Paolo è un nome un po' di merda... non hai un nome d'arte?"
"Boh..."
"Boh?"
"Boh... Bombay!"
"Bello! Che mi cita anche gli Afterhours, favoloso!"

E così Paolo, aka Bombay, parte alla volta di Bologna, e registra le prime canzoni.

"Cosa mi manchi a fare", "Paracetamolo" e "Frosinone", ma anche "Oroscopo", stavolta però con il featuring imposto con Lo Stato Sociale, e "Hubner" che diventa "Chiesa" (con riferimento al Campione d'Europa, Federico).
"
Io certe volte dovrei fare come Fede Chiesa
e non lasciarti a casa mai senza far la spesa"

Paolo, riluttante, deve accettare queste imposizioni: l'Italia che trova ora è diversa da quella che trovò Calcutta a metà degli anni '10.

A quel punto però, il successo è travolgente: il boom di clic su Spotify, le ospitate a Radio Deejay, i concerti, la chiamata come ospite a Quelli che il Calcio, e finalmente il sogno che si avvera: la ricchezza? Assolutamente no, ma la possibilità di pagare l'affitto con la musica si concretizza.

Il rapporto con Sara però si incrina, la ragazza finalmente gliela dà in preda all'alcol ma la mattina dopo se ne pente, dicendo di aver rovinato tutto, che forse è meglio se la finiscono lì, eccetera eccetera.
Paolo è dispiaciuto, ma alla fine poi ha scoperto che con la musica di successo si guzza in giro anche da altre parti, e per recuperare l'amicizia con Sara ci sarà poi tempo.

Anche perché nel mentre è arrivata la chiamata di Claudio Cecchetto (interpretato da Cecchetto stesso), che vuole fare di lui il nuovo Gianni Morandi: Paolo non può fare altro che accettare, anche se all'orizzonte si pone un problema: cosa fare quando i pezzi di Calcutta finiranno?

Inoltre, un losco stalker continua a perseguitarlo su Instagram, aprendo ogni volta account diversi: e un giorno se lo trova davanti, sotto ai portici di Via Indipendenza.
"Ammerda! Te cercavo, merda! Sono l'autista del tram... cazzo se lo sapevo acceleravo! Porcatroia, c'eravamo liberati delle canzoni di sto stronzo, beh arrivi te, e ce le ricanti? Mavvaffanculo!"
Il soggetto è l'unico, che oltre a Paolo, ricorda dell'esistenza del vero Calcutta. Per fortuna viene fermato dai passanti, e arrestato dai Carabinieri, ricevendo un TSO. Nessuno ovviamente crede alle sue parole, viene preso per matto, e così la carriera di Paolo così è salva.
Eppure, preso dal rimorso, Paolo decide di cercare il vero Calcutta, Edoardo D'Erme: l'autista del tram, prima di essere ammanettato, gli ha confidato che si trova lì a Bologna.

Così, dopo giorni e notti di ricerche, finalmente lo trova: Calcutta è sotto i portici di piazza Verdi, con un bellissimo cagnolone e una Heineken da 66 cl.
"Ce l'hai un euro? Che devo prendere il biglietto del treno e sono senza..."
"Ti do 20 euro, così ti prendi un biglietto intero. Ma prima dimmi, Edoardo, ti ricordi di quando hai scritto Paracetamolo? Pesto? Frosinone?"
"Come fai a sapere come mi chiamo? Senti... io non so di che cazzo stai parlando, se vuoi darmi dei soldi bene sennò fa la stesso. Se sei della DIGOS non c'ho niente, te lo digos fin da subito."

Paolo resta amareggiato e contrariato, così lascia i 20 euro a Calcutta e se ne torna a casa.
Che fare? Ormai la pressione dei media è alta, viene fermato per fare selfie e instagram stories, i giovanissimi cantano le sue canzoni su Tik Tok, e Paolo ormai non riesce più a dormire, sentendosi un impostore.
Decide così di rivelare tutto, in diretta su RTL 102.5 radiotelevisione, nella serata finale del tour all'Arena di Verona.
Terminata la versione orchestrale di "Gaetano", con alla tastiera Giovanni Allevi, Paolo si avvicina al microfono, tremante.
"Ragazzi, è tanto che ho pensato a questo momento. Io, ora, devo dirvi la verità. Queste canzoni... non le ho scritte io. Le ha scritte..."
E si blocca. E ripensa alle rate della macchina, alle birre Splugen, ai soldi chiesti in prestito ai genitori, ai sacchi a pelo in aeroporto, ai Flixbus, alla lavastoviglie rotta, e a tutta la sua vita che fu prima del blackout e dell'incidente.
"...queste canzoni le ha scritte DIO!"

Paolo decide quindi di continuare la carriera sfruttando i pezzi di Coez, Tommaso Paradiso, e tanti altri artisti it pop che l'Italia non ha avuto modo di conoscere.

E così arrivano il terzo posto a Sanremo (con vittoria nelle classifiche di streaming), l'udienza dal Papa, il concertone a San Siro, la candidatura agli Oscar come miglior colonna Sonora per "La vita davanti a ", e la festa all'Arena Parco Nord per festeggiare la vittoria della Coppa Italia del Bologna del 2022.

E Sara?
Ma sì, alla fine, finché dura, trova il modo anche di portare avanti una scopamicizia, che alla fine due botte gliele avrebbe sempre voluto dare.
Titoli di coda.



EDIT: Mi ha scritto BOMBAY, quello vero (sì ne esiste uno vero, del quale avevo un vago ricordo, anche se poi evidentemente ne avevo rimosso la percezione), che ha quasi creduto che fosse uscito un film su di lui senza il suo consenso. Poi si è rinsavito, si è fatto una risata e mi ha scritto.
Diamo a Bombay quel che è di Bombay: qui trovate il suo Bandcamp https://bombaymusicstore.bandcamp.com/

....forse siamo davvero in una realtà parallela in cui avete tutti rimosso Bombay, o solo io?