lunedì 22 settembre 2014

Autointervista: il vero motivo per cui sono tornato da Londra (tutta la verità!)

Non sarò breve: e lo dico fin da subito. Perché dovete sapere che a volte le cose non si possono sempre semplificare, o sintetizzare, sennò si perdono le sfumature, i dettagli... e le cose assumono un senso diverso.
Volete la verità? Beh, non dico sia complicata, ma di certo è lunga.

Ah, quindi in questi anni ci hai mentito?

No, mai. Oppure, si, ma non mi ricordo che balla vi ho detto. Di sicuro vi ho detto una piccola parte della verità. Non vi ho mentito, ho semplicemente omesso alcuni dettagli. Fatemi cominciare.

Vai...
Riassunto delle puntata precedenti: ho vissuto a Londra dall'agosto 2010 a marzo 2011 (e in seconda battuta da marzo 2012 a luglio 2012, ma oggi non parlerò di questo).

Lo sapevamo già, vai al dunque.
No, non tutti, e comunque era importante ricordarvi questa cosa dei due periodi. Parlerò solo del primo. Fatemi andare avanti.
Ero a Londra, mi piaceva la città (e mi piace ancora... ma con il tempo, forse l'età, forse le naturali cose che cambiano della vita ora forse ho imparato a conoscere bene i suoi difetti. E il fatto di conoscerli bene, a volte vuol dire anche prevenirli, o sopportarli. Prima forse ero più... incosciente/passionale), iniziavo ad avere degli amici, a migliorare con l'inglese, e così via. Avrai potuto trovare un altro lavoro che mi piacesse di più che fare il cameriere, pagato meglio, meno stressante e faticoso, e con orari più "sociali"... e che mi permettesse qualche weekend l'anno per tornare a Cento. Avrei dovuto migliorare parecchio il mio inglese, e mettermi in cerca. Una cosa sicuramente a sua volta stressante e parecchio impegnativa (come si dice, cercare lavoro è un lavoro) soprattutto a Londra, ma fattibile.

Atti... taglia corto... abbiamo capito... volevi restare a Londra... perché sei tornato?
Ecco, ci sono: io volevo fare lo scrittore. E scrivo in italiano. Ho sempre scritto in italiano, in inglese ho scritto qualche breve pensiero, ma non possedevo (e non possiedo ancora) un livello tale di inglese da avere la stessa prosa che ho in italiano. E inevitabilmente (per quello che riguarda il mio stile) la lingua che usi influenza la tua prosa, e anche leggermente i tuoi contenuti.
E a me piace l'italiano. Gli italiani meno, ma l'italiano si. E io volevo scrivere in italiano. Anche per parlare agli italiani. A voi (miei lettori / follower), innanzitutto.

Ok, vabbè. Ma non potevi continuare a scrivere in italiano, e nel mentre vivere a Londra?
Si e no. Si, Anche se a Londra piove (e altri racconti, credo) sono stati scritti mentre ero a Londra. Quindi si, si può tranquillamente scrivere dall'estero (anzi per certe cose è sicuramente più di ispirazione, sarà la distanza).
Però... no, non è possibile farsi pubblicare dall'estero. A meno che tu non sia seguito (e soprattutto lanciato) da una grossa casa editrice.

Ma tu hai provato a farti pubblicare da una grossa casa editrice?
In realtà questa domanda non me la fate di solito. Ma vi rispondo lo stesso: no. Sono andato dritto su Tempo al Libro perché la conoscevo. Mi piaceva come lavoravano, mi piacevano le loro opere, e mi fidavo di loro. E sono contentissimo della mia scelta.
(In ogni modo, le grosse case editrici è molto difficile che anche solo leggano veramente il tuo romanzo... forse prima o poi proverò, comunque.)

Tempo al Libro... e quindi? Dicci, dovevi per forza tornare in Italia per farti pubblicare da Tempo al Libro?
No, non per forza. Ovviamente non me l'hanno chiesto loro. L'ho deciso io. Credo che, perché un buon "prodotto artistico" abbia successo, ci vogliano tre cose.
1) Qualità: al di là dei gusti, credo ci sia. D'altronde un minimo di presunzione ci vuole per fare gli scrittori, no?
2) Diffusione: intendo l'abilità di mettersi in mostra, attraverso tutti i canali possibili. Ritengo di averne le capacità e di avere fatto qualcosa di buono, ma ancora di non essermi giocato tutte le carte.
3) Culo: un po' di fortuna ci vuole sempre. Ne ho avuta forse un po', può essere... di sicuro, botte di culo epocali ancora no.

Si ma non hai ancora detto...
...che palle! Fammi arrivarci! Allora, tornando ai tre punti di prima... qualità e culo li puoi avere anche da Londra, ma per come funziona il mercato letterario/artistico, sapendo già di avere un buon bacino di lettori/fan a Cento e dintorni, per me era fondamentale tornare sul territorio. Se volevo fare lo scrittore, in italiano, facendomi pubblicare, e vendendo, io dove stare qui. A Cento/Bologna/Ferrara.
E così ho fatto.

Quindi sei tornato per fare lo scrittore. Ma ora fai altro...
Si e no. Si: è vero, la mia principale fonte di reddito è un altro lavoro, che se vogliamo può anche avere qualcosa in comune con lo scrivere, ma di certo non è nell'editoria o nel giornalismo. (Mi occupo di comunicazione e business process management... che non voglio fare il figo, ma in italiano è troppo lungo, e comunque non è il post e nemmeno il posto in cui parlarne).
Ma devo anche dire che in questo momento storico, fare lo scrittore in Italia spesso vuol dire questo: tenere la scrittura come hobby/secondo lavoro. Statistiche alla mano, ci sono una decina (10!) scrittori in Italia che vivono di soli romanzi (Baricco, Fabio Volo, ecc...) e altri 60-70 che vivono dei romanzi di attività correlate (giornalismo, sceneggiature, radio, autori per comici, ecc).
Io non rientro nemmeno in questi 60-70, ma faccio parte degli altri circa 30mila scrittori in Italia che vendono almeno 50 copie l'anno... e sono comunque nella parte alta della classifica: ci sono altri 30mila scrittori che sono pubblicati ma vendono meno di 50 copie l'anno.
Quindi... si, mi sento di dire che sono uno scrittore. E faccio lo scrittore, anche. Non solo quello.

E io che pensavo che fossi tornato perché ti mancava Cento... però, da quel che ho letto in Anche se a Londra piove, pensavo che Londra ti avesse un po' nauseato...
Per carità, di sicuro Londra mi ha anche nauseato, come ho sempre detto c'è una forte ispirazione autobiografica in quel romanzo. Ma al tempo stesso ho anche sempre detto che IO NON SONO GIULIO!

Sicuro? No, sono sicuro che una volta hai detto "Io sono Giulio"...
Si, Giulio è una sorta di alter-ego della mia personalità, se vogliamo. E abbiamo tanto in comune, così come la mia e la sua esperienza londinese possono definirsi davvero simili.
Simili, ma non uguali! Quello che pensa o fa Giulio non è esattamente quello che ho pensato o fatto io. Abbiamo due vite diverse e due età diverse (io a Londra ero 26enne, Giulio è 19enne).
Ad esempio, Giulio si ritrova spesso solo, nel romanzo (non svelo niente sul finale, no spoiler). Anche io ho passato molti momenti in solitudine, ma a differenza di Giulio ho conosciuto più amici e trovato più persone. Ero meno solo di lui, anche in questo caso l'alter-ego di Giulio mi è servito per estremizzare una situazione (che comunque a sprazzi e fasi alterne vivevo anche io) e renderla più romanzata.
Anche qui: nessuna bugia, la solitudine di Giulio è la stessa mia e di tanti altri (anche tra voi lettori, siete stati in molti a dirmi che vi siete riconosciuti), semplicemente è stata messa in una forma "da romanzo". E se Giulio pensa certe cose di Londra... non le penso esattamente tutte nello stesso modo. Più di così non posso dire sennò spoilero chi ancora deve leggere.

Si si, ho capito. Vabbè. Eh, allora sei tornato per scrivere e scrivi... beh cacchio, sarai contento, no?
Si, di sicuro lo scrivere è una delle cose più belle della mia vita e avere cominciato a 28 anni (di certo non presto, ma neanche tardi) mi fa molto contento. Oltretutto il fatto di avere la scrittura come hobby mi permette di non avere pressioni sui tempi e sui contenuti di quello che scrivo. Continuo a scrivere quello che mi pare, quando mi pare, e se verrà pubblicato, tanto meglio.
Poi, è un po' limitante sapere che molto probabilmente la scrittura non sarà mai il mio unico lavoro... ma vabbè... mai dire mai, no? Se capita... tanto meglio.

Però poi forse avresti delle pressioni sui tempi e sui contenuti...
Eh, infatti. E' ben per quello che a volte ci penso e preferisco avere questo tipo di "pressioni" nel mio lavoro principale come dipendente, piuttosto che nel mio hobby/secondo lavoro artistico.

Si, capisco. Senti ma... poi però ci sei tornato a Londra... perché? E poi perché sei ri-ritornato qui? Che poi in realtà il libro l'avevi pubblicato dopo la seconda volta......ma saranno anche un po' cazzi miei, o no? Comunque quello che ho scritto sopra è la verità. Se ci sono altri parti di cielo che non ho voluto illuminare, sarà che forse ci stanno solo delle nuvole, o che nascondono delle stelle che voglio tenere solo per me.

Eh tutta 'sta poesia così all'improvviso... ma forse vuoi dirci che...
No, era solo un preambolo romantico per dirvi che... ma no, non voglio essere volgare. Lo faccio dire ai The Pills. Non saprei dirlo meglio.




mercoledì 10 settembre 2014

Score or die tryin' (nell'anno dei mondiali spesso vincono i check-in online)

Dicono che se c'è l'amore c'è tutto, ma poi l'amore sto cazzo che ti riempie il conto corrente.

Ma non sarebbe stato quello il problema, ci sarebbero stati euro a sufficienza. Credo che alla fine mi avrebbe pesato tutto un sacco, così come l'umidità.
Sentire di aver orientato la vita in una direzione e trovarsi con niente in mano, per colpe nemmeno tue.

Sarei sceso dall'autobus con due valigie in mezzo alla polvere.

Però forse ne sarebbe valsa la pena.

Forse avrei concepito un figlio alle 14:58 (che è anche quell'orario un po' dopopranzo che raramente hai voglia di fare qualcosa, figurati fare un figlio) e penso che comunque sarebbe stata la cosa migliore.
Comunque.

Alla fine, figlio a parte, non sarebbe poi molto diversa da adesso. O anche figlio incluso.

O forse no.

Ma come si fa? Come avrei fatto?

E allora è meglio così, e dev'essere sempre meglio così perché non c'è mai un'alternativa a quello che abbiamo.

E' che mi sembra di aver sbagliato un altro rigore. Di averlo tirato fuori. Peraltro cosa rara, di solito me li paravano: che è anche peggio se uno ci pensa bene, ma non so, sembra quasi che sia stato bravo il portiere, per quanto tu lo possa tirare male. In fondo il più rigore è più difficile pararlo, di quanto sia più facile sbagliarlo.

E tra l'altro è una brutta partita lunga in cui forse non dovevo nemmeno giocare, ma magari qualcuno ha pensato "potessi fare la differenza". Differenza de che. Onorato del pensiero, per carità, ma purtroppo la realtà è questa.

A Gotti che legge piacciono sempre tanto i miei paragoni calcistici: anche a me, evidentemente, sennò non li utilizzerei. Meno mi piacciono le situazioni che a volte li generano: ma tant'è. Ce ne sono, di cose che non mi piacciono. Ora ce n'è una in più.

Oh, poi non è mica successo niente eh, come sempre. A volte le cose potrebbero anche andare un po' meglio, eh. A volte poi le cose vanno bene davvero.
Perché la vera tragedia è Gaza, gli aerei abbattuti per errore, Ustica, la gente morta nella Costa Concordia, le guerre in Africa, i clandestini che annegano. Queste sono le tragedie.

Questa è solo tristezza. Soltanto bellissima tristezza, poeticissima tristezza, come il male di vivere, i panorami terribili dell'Emilia, e poc'altro.

Ma non la tristezza che ho, o che non ho, è solo la tristezza delle cose, che non è mia, e nemmeno tua, è delle cose, appunto. E può anche essere bellissima.

E poi lo sappiamo. Gli anni dei Mondiali portano sempre risultati strani. Spesso vince la squadra dei check-in online.
Però noi stiamo rinforzando la squadra. E giocheremo fino alla fine. Abbiamo un pubblico che merita il massimo. E se il massimo è stata la permanenza in A, allora ci sarà perdonato lo scarso spettacolo che abbiamo offerto.
Ma la gente vuole il gol. O perlomeno, che la si emozioni provandoci.




lunedì 25 agosto 2014

Sul viaggiare da soli

Di solito su Blogorroico ci scrivo sempre e soltanto io: se voglio condividere cose di altri uso Facebook, o Twitter. Però, questa volta...
1) Quello che sto per condividere è un estratto di un post più lungo, e non ha un direct link (anche se poi vi consiglio la lettura di tutto il post)
2) Questo è il mio blog e come sapete ci faccio quello che mi pare.
Quindi ecco una bellissima riflessione di Andrea Girolami, autore e giornalista di Wired (tra le altre cose, creatore di "Pronti al Peggio") ... sul viaggiare da soli.
Sul viaggiare da soli
Dopo aver attraversato negli anni la Scandinavia, il Perù, il Giappone e i Balcani mi sento nella posizione di chi pensa di aver capito qualcosa riguardo il viaggiare da soli e ora ve lo vuole raccontare. Per prima cosa quando si parla del viaggio in solitaria lo si descrive come il massimo grado di egoismo possibile. È vero il contrario: viaggiare da soli significa il totale annullamento del sé. La maggior parte del tempo è spesa osservando gli altri: nei ristoranti, per strada, nelle lunghe trasferte a bordo di ogni mezzo di trasporto. La mente vaga senza meta e l’unico appiglio è quello di studiare i volti, i movimenti, provare a indovinare i pensieri chi ci sta vicino. Infatti anche se siamo gli unici protagonisti di un viaggio del genere non si fanno selfie (ok a parte quella che vedete qui sopra). Foto del genere sono la testimonianza di un momento condiviso o da condividere con altri mentre il viaggio in solitaria è qualcosa di differente. Siamo spettatori di qualcosa che accade attorno a noi attraversandolo senza lasciare traccia.
Viaggiare da soli vuol dire entrare in decine di bar e ristoranti, guardare negli occhi il cameriere dire “Hello, I’m alone”. Da giovane si parte in solitaria con la convinzione di riuscire a fare ciò che non ci sarebbe permesso accompagnati da gruppi numerosi o fidanzate. Una volta cresciuti accade l’esatto contrario. Tutto quello che vorreste fare non vi riesce proprio perché siete soli. Cenare in un posto particolarmente carino perde di senso e anche se decidete di andarci vi diranno che è tutto pieno perché con voi incasserebbero solo la metà che con la coppia innamorata alle vostre spalle in fila per sedersi. Viaggiare da soli vuol dire trovare il proprio ritmo perfetto giorno dopo giorno. Essere sempre più efficienti negli spostamenti, nell’organizzazione del proprio ristretto spazio vitale. Sapere dove mettere l’asciugamano bagnato dopo la doccia, come ripiegare i vestiti nello zaino, dormire nei posti e negli orari più improbabili fino ad essere così stanchi da perdere la memoria e scivolare in quella sorta di trance che accompagna sempre gli ultimi giorni prima del ritorno. Ho conosciuto persone che non hanno mai dormito in un ostello e mi chiedo come possano vivere senza aver provato un’esperienza del genere. Condividere camerate da otto o più dove tutto è alla rinfusa, dover trovare la giusta posizione in luoghi in continuo mutamento dove si è sempre solo di passaggio è la metafora dell’esistenza più limpida che mi possa venire in mente.
Capisci che è il momento di smettere di viaggiare da solo quando ti trovi ad immaginare persone con cui vorresti smarrirti nei vicoli della città e condividere l’entusiasmo di ciò che sta accadendo. Credo di aver perso la voglia proprio durante questo ultimo giro in cui sono riuscito a viaggiare senza nessuna paura o nervosismo, anzi più probabilmente mi sono stancato proprio per questo motivo. Ogni viaggio in solitaria è una scatola di madeleine che contiene e richiama tutti gli altri fatti in precedenza. Anche questa volta ho camminato per ore sotto la canicola come era successo in Giappone, ho attraversato in bus decine di paesi di montagna uguali tra loro come in Norvegia, mi sono accompagnato all’amica dissenteria come in Perù. Infine lo scrivo in modo da non dimenticarlo nuovamente. Al ritorno da ogni esperienza del genere è estremamente chiaro come il fine ultimo di ogni viaggio in solitaria è proprio quello di desiderare e amare nuovamente la compagnia degli altri esseri umani.
Andrea Girolami
Tratto da: http://nonsischerzapiu.tumblr.com/tagged/unasettimananeibalcani (e vi consiglio di leggere anche il resto del post)


mercoledì 30 luglio 2014

Estate è dove traslocano le case


Estate, è dove traslocano le case
smonti rimonti avviti chiudi

è lavarsi senza l'acqua, asciugarsi senza corrente
vestiti spiegazzati, sfrecci, un'anta in faccia
corro senza le chiavi, calcio l’ultima sedia
alzo il volume rimane la porta spalancata
senza luce gas acqua
appoggio tutto morbido il polveroso l'appiccicoso
vado in bici in macchina in aereo
a piedi sulle grucce, i miei cuscini rotti
parlo col cane, parlo col padrone, parlo di cose che sto per coprire
estate stellare memorie portoni zanzariere
andiamo non andiamo, terzo piano
mal che ci vada un sonnellino, altri tre giorni senza lavandino
rotto il sole, il temporale, la festa condominiale
i conti li pagherò quando sarò tornato
mi devi tre IBAN
io un cacciavite a stella un po' spuntato
ma ora piego ancora un po’ di cose, un po’ di stracci in questa meraviglia
la notte buio piastrelle la Punto cresce decresce
ci s'impiglia
cambio casa in settimana: la mia estate italiana.

(Enrico Atti)





mercoledì 21 maggio 2014

Two Fingerz In One Throat

Ora che (non ti sembra buffo), 
ora che (proprio ora che non serve più), 
ora che non serve più (riuscire a dare un senso un senso a tutto) ...

Il mal di testa, la sonnolenza, e il Napoli che vince la Coppa Italia.

C'era anche il pesce freddo nel frigo, che non era nemmeno per me, ma l'ho mangiato lo stesso perché avevo fame.

(...) ma soldi non ne ho 
e a dir la verità, non ho nemmeno un tour 
ho solo qualche data qua e là 
e se potessi ti regalerei sole ma per ora devi accontentarti di un'abat-bajour (...)

Non c'era nessuno per strada. Nessuno aveva voglia di andare da nessuna parte. Chi poteva partire era già partito nel pomeriggio. Gli altri erano rimasti. Dovevano rimanere.

(...) il talento ti trattiene in catene i sogni, ma non ti mantiene (...) 

Solo io me ne sarei andato a breve. Dovevo lavorare. Altrove.
Io e pochi altri.

(...) perché il sogno te lo scegli da bambino 
e il tempo passa e sbiadisce lo scontrino 
così a trent'anni ti svegli vuoi cambiarlo (...)

Che cos'è rimasto di tutto questo?
No, non i vostri ricordi mediocri di un tempo in cui si è stato ipocritamente uniti.

Cioè che è stato, in quello stato, in altro Stato, per quel che è stato.

Temo non sia rimasto più niente.

Non ti sembra buffo? Ora che non serve più, proprio ora che non serve più, riuscire a dare un senso, un senso a tutto?

Si, isn't it ironic, don't you think? Certo che se sono capace di dare un senso a parte della discografia dei Two Fingerz, allora questo e altro.


P.S. vabbè, c'era pure Dargen.