mercoledì 25 gennaio 2012

andavo in Croazia

Lo sapevo già: più complicato del prenotare un traghetto via internet, poteva essere solo il prenderlo.
Insomma: dopo 75 minuti spesi per la prenotazione, sapevo che quel viaggio non sarebbe stato così semplice.
Ma ancora, non immaginavo come.

A dir la verità il viaggio comincia da casa mia, ma posso tralasciare il passaggio di mio padre fino alla stazione di Bologna Centrale. E in fondo anche il viaggio nel regionale veloce fino ad Ancona, è trascurabile.
(In realtà davanti avevo una sorta di studentessa fuorisede, con tanto di libri in mano, e avevo tanto voglia di farmela in un bagno, ma va beh era solo una fantasia. I bagni son sempre fuoriservizio, non sarebbe stato possibile)
Uscito dalla stazione di Ancona, cominciano i primi problemi. Innanzitutto: che merda la zona vicino alle stazioni. In generale. In Italia. A parte qualche eccezioni, le zone di città vicino alle stazioni fanno veramente cagare. E pullulano di malavita, facce losche, persone invornite (o imbornite? per me è tipo supercazzola/supercazzora, sono accettate entrambe le definizioni) e scene pacchiane delle "coppiette turistiche".
Per non parlare dell'architettura che spesso circonda queste zone.
Ma non mi interessa: io me ne vorrei andare al più presto, al porto. E qui sbucano un paio di cartelli, malposti e mal indicati, che parlano genericamente e senza distinzioni di "bus biglietteria zona porto" invertendo anche l'ordine della parole.
Dove portano? Al bus? Alla biglietteria? Alla biglietteria del bus? Alla zona porto? Nel mentre faccio un bancomat, giusto perché avere in tasca del contante mi pare sempre una buona idea. Guardandomi le spalle.
Insomma, individuo l'autobus che mi pare giusto e salgo. "Va al porto?" La risposta è una roba in marchigiano che non si capisce ma pare un si.
C'è anche da fare un biglietto, con una macchinetta. Il biglietto costa 1.40, io ho due euro, e la macchinetta non da resto. Amen.
A un certo punto l'autobus parte. Da un lato sono contento perché non avrei mai saputo fare quella strada a piedi, e perché passa per rotonde e zone poco confacenti ad un pedone, dove sarei rimasto tutto solo e al buio, in balia della malavita marchigiana. Dall'altro... si mi sta ancora sui coglioni i 60 centesimi buttati.
E in appena un minuto arriviamo al porto. O perlomeno, vicino al porto.
Il porto di Ancona è come il circuito cittadino del porto di Valencia disegnato da un architetto ubriaco di Genova. E l'autista al volante della navetta mi ricorda molto Vitantonio Liuzzi sotto l'effetto dell'Amaretto di Saronno.
Arrivo alla biglietteria, dove devo scambiare la mia email e ritirare il mio biglietto. La biglietteria è vuota e loschissima.
Davanti a me ci sono tre persone. Due sono slavi. Sti slavi sembrano sempre tutti criminali sul punto di sgozzarti... magari poi son persone onestissime. Ma l'impressione resta questa.
Il terzo invece è un italiano, sui 55 anni, che al limite ha la faccia da schiaffi da furbetto del quartierino. Decido di seguire questo. Mal che vada cosa mi può succedere? Che mi inculi 20mila euro dal conto corrente. Tanto non ce li ho neanche, 20 mila euro.
Insomma trovo un bagno, piscio, e all'uscita saliamo tutti in un free-bus che ci porta alla zona imbarco. Perché il porto di Ancona, è grande. Fa cagare ed è grande. Ancona è un po' una città di merda.
Nel bus c'è anche una comitiva di operai olandesi, o almeno paiono tali. Insomma, dopo aver rischiato di sbagliare le fermate (ma che fermate dovrà fare una navetta gratuita all'interno del porto di Ancona alle 8 di sera di dicembre?) si scende.
E c'è l'ufficetto della polizia per il controllo documenti.
Il controllo documenti è una cosa che tipo controlla che la mia carta d'identità sia rosa. A questo punto mi chiedo perché negli aeroporti ci mettano il triplo di tempo.
In ogni modo, potrei portarmi dietro anche una bomba nella valigia che andrebbe bene: non c'è alcun scan/metal detector.
Entro nella sala d'attesa e faccio fuori il primo panino. Non ho cenato. Ne ho altri 3. Devono durarmi fino al giorno dopo.
E' l'ora di imbarcarsi. Esco sul molo insieme ad un'altra decina di persone. Pienone, eh.
Mi rendo subito conto che l'educazione non è il forte degli slavi. E nemmeno il multilingua.
Insomma si entra dentro.
Il traghetto è una pensione a 2 stelle degli anni '60 (garage incluso). C'è anche l'ascensore nel quale riescono a infilarmi. Il tutto parlandomi in croato.
Scendo al piano, sbagliato, risalgo, e inizio a girare. Non ci sono le indicazioni, quando ci sono sono poco chiare, a volte in italiano, a volte in croato, a volte in inglese.
Arrivo nella sala delle poltrone. Una TV da 20" dove trasmettono "Bravo Bravissimo" su Canale 5, con tanto di Jerry Scotti. E una sfilza di sedili reclinabili vuoti. I sedili sembrano quelli di un aereo, sono vecchi come quelli di una corriera, e sono sporchi come quelli di un treno.
Ci sono resti di cartacce, e insetti. Uno vivo, e uno morto.
Arriva qualche persona, qualcuno anche con dei cani. Siamo in 4 gatti e 2 cani.
Un mega annuncio in tre lingue, e il traghetto parte.
Sembra di stare su un treno diesel in folle. E sarà così per altre 9 ore.
Dopo due minuti, dai finestrini non si vede più un cazzo. Mare nero mare nero mare nè... ora capisco dove ha preso l'ispirazione Mogol.
Nel mentre una bambina a Bravo Bravissimo canta "Caruso" davvero molto bene, e anche se in linea di massima io odio questi programmi di sfruttamenti dei minori, devo riconoscere che la bimba meriti.
Finisco di leggere "Nessuno lo saprà" di Enrico Brizzi, che ho preso in prestito da mio fratello tre anni fa mentre gli sgombravo la camera.
C'è anche un po' troppo fresco per i miei gusti. Mangio un altro panino. Mi appoggio la giacca sopra e dormo qualche ora. Sono ancora stanco dal viaggio di Londra.
Mi sveglio con una voce che parla insistemente. C'è luce. C'è terra. Sono arrivato nel porto di Zara. Cazzo, che palle, una volta che uno dorme.
Mi vesto, prendo zaino e valigia, scendo, passo l'ennesimo controllo dogana, e sono a Zara. In Croazia. E non so che cazzo fare. Vorrei fare colazione.
Cerco un bar, il primo che trovo c'è scritto che apre alle 7. Sono le 7:08, la porta è chiusa e c'è una donna delle pulizie che pulisce. Sembra l'ACLI Corporeno ai tempi di Atti.
Una stangona cavallona mi dice qualcosa in croato e mi fa il gesto di un caffè. Poi mi fa il gesto di seguirla. Poi capisce che forse non sono del tutto rincoglionito, sono semplicemente straniero, nonostante la mia faccia da rissaiolo slavo, e l'inglese lo parlo.
"Speak english?" Certo che si. "Eh, quel bar è chiuso, se mi segui ti faccio vedere un altro bar che è già aperto."
Premesso che quel bar avrebbe già dovuto essere aperto, non voglio fare il polentone del nord che va a polemizzare, anche perché io stesso sono sempre stato molto elastico sui miei orari... la seguo. La seguo a fatica perché lei è più alta che me e corre a passo spedito di una che è in ritardo per andare al lavoro. Io invece non sono in ritardo per nessuna parte, solamente mi devo portare dietro una valigia che tra macbook e vestiti per 10 giorni pesa almeno una dozzina di chili.
Mi porta questo barrettino, con tanto di veranda esterna. Sono le 7 di mattina, c'è un certo fresco, e c'è qualcuno che è seduto fuori, incurante di tutto.
Entro e sento una canzone croata. E mi immagino Taddo e Sorio mentre piegati in avanti come se stessero sgabberando ballano questi balli slavi, tutti contenti e convinti, ballando in cerchio. Un po' come se fossero personaggi dei Looney Toones. Tutti dentro la mia testa. Alle 7 di mattina. Loro lo farebbero anche alle 7 di mattina.
Il mio corpo invece è statico in maniera incredibile. Infatti è la mia testa è formulare il primo pensiero.
"Accettate gli euro?"
Sono in Croazia, e non ho ancora Kune, la moneta locale.
"Si, solo se hai dei piccoli tagli."
"...venti euro?"
Non ci sarebbe bisogno di risposta, mi faccio indicare un bancomat, che si trova ad appena 50 metri, e mi rifornisco di Kune.
Torno dentro: bombolone alla marmellata e caffè espresso. Adesso si comincia a ragionare.
La prima canzone italiana che sento è "Ciao Mamma" di Jovanotti. A Londra, la prima canzone italiana che ho sentito è stata "Tiger" degli Amari, in un sushi bar di Queensway. Qui siamo in un bar del cazzo di Zara, non è che possa pretendere più di tanto.
Mentre con la moleskine aperto subisco l'effetto della caffeina e prendo appunti, mi rendo conto di aver fatto la pirlata e non essermi segnato i dati dei taxi economici. che mi dovranno portare all'hotel. E mi rendo conto che in effetti è la prima imprecisione notevole del viaggio.
Devo dire che comunque, aver prepararato il viaggio in 28 ore, con tanto di tempo extra per visite, mangiare, dormire, lavare, ed altro, essere arrivato qui con il collo intatto mi rende un figo.
E poi alla radio passa "All I have to do is dream" degli Everly Brothers, e il mio pensiero va a Waco Guzman, che ubriaco di refosco e sambuca mi invita a ballare con lui nella sua stanza parigino-londinese, sulle note del vinile degli Everly Brothers.
Vado in bagno: ovviamente non c'è una serratura, ma ho visto bagno molto peggiori a Londra. Il bagno funge anche da magazzino delle birre. Ovviamente, delle birre vuote. Ci sono tre-quattro pile altezza uomo di cassette in plastica con sparse bottiglie in vetro vuote, tra cui la Karlovacko che diverrà il simbolo dei 10 giorni successivi.
Ma io, ancora, non potevo saperlo. E dopo aver pagato con una banconota di grosso taglio (è inutile mi guardiate male, il bancomat mi ha dato queste) uscivo, pronto per Zara, che li si chiama Zadar, e per tutta la Croazia.
Una cosa che non racconterò qui. Perlomeno non ora.

Comunque poi sono anche tornato. E anche il tornare meriterebbe una storia, magari. Magari no, basterebbe twittassi "TRENITALIA MERDA".

1 commento:

  1. porta rispetto per operai olandesi. loro, in caso contrario, non faranno fatica a dimostrarti che non ne portano assolutamente per te ;)

    ps: gli amari in un sushi bar di londra è la cosa più indie-sponente del mondo. scusa atti, ma so che sai perdonarmi.


    V.

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