giovedì 25 agosto 2011

Fahrenheit 420s

Mi lavo i denti. Ed è un gesto che forse, più che realmente a pulire i miei denti, serve per tornare a sentirmi a casa. Mi lavo i denti a secco, così, poi mi sciacquo con una bottiglietta semiaperta, mentre qualcuno mi chiama, qualcuno ride, qualcuno dice che sono l'eroe, e qualcuno no.
Qualcuno no, sempre.

Mi gira già un sacco la testa, gira così da qualche giorno, è un mix tra la stanchezza, il sole, e tutto quanto, probabilmente ho la pressione bassa. Mi inserisco nella distesa di cadaveri colorati e cerate blu, scavalcando tutti i pellegrini uno per uno, studiando percorsi di guerra neanche fossi in un campo minato. Arrivo alla transenna e la scavalco, e mi rendo conto di essere uno dei più fighi di tutto il D1 in quel momento.

Ma perché gli altri dormono, poi, mica per altro.
Affronto la folla, avrei voglia di spintonare via tutti ma non mi interesso di loro. Vado avanti. A un certo punto spunti. Proprio dove dovresti essere.
Non credo ci potesse essere un'immagine migliore di quella. E nella vita, ti giuro, già so che ne avrò poche altre.
E' come se da un inferno, da uno scenario post nucleare, o se da un sisma qualunque emergessero da tutte le macerie soltanto le cose che restano amore, al di la di tutto.
Un amore e due birre. Anche un pochino calde.

Oh ma noi non ci facciamo mica storie, noi che sanguinavamo per Brick Lane, noi che abbiamo visto gli occhi dei bambini di Addis Abeba, noi che abbiamo scaricato la batteria della macchina in via Donizetti.
Ed eccoci qui. Io, te, il mondo, quattro venti (ottanta in francese) e due birre. E un giramento di testa.
Mi siedo un attimo per terra, ci sediamo un attimo per terra. Gente, camion, sacchi a pelo, blablabla di babele, e due birre che finiscono.

E ci sono domande completamente fuoriluogo, ma se le appoggi con tutta la serenità e sincerità del mondo, sarai sempre sicuro di essere il primo e l'unico a farle lì. Lì e così. E non c'è bisogno di rispondere, ho già capito e lo sapevo già. Era solo importante che te lo chiedessi.

- Mi chiedo se io sia solamente ubriaco o se proprio abbia dell'altro nella testa, perché è una roba talmente assurda che se me la raccontassi non ci crederei. -

Ci sono chiese e croci, c'è un Dio che è sempre quello anche se spesso pare sempre diverso, e poi c'è un attimo - è un attimo solo ma ti giuro che è stato lungo una vita - in cui ci siamo guardati. E con tutta la naturalezza, in mezzo al mondo, è successo qualcosa di molto naturale.

Una lentissima pace. Lenta, silenziosa, morbida, dolce, fresca, rincuorante, avvolgente.

Avvenire non ce l'ha fatta la foto, eh? Lo sapevo, si perdono sempre i momenti più veri. C'è più Dio in un istante non fotografato che in un articoletto coccodrillato.

Poi c'è tempo per tutto il resto. Per agosto, e tutto il resto. Per le stelle, e per l'alba. Per il vento, e per il freddo. Per i piccoli gesti, e le piccole cose che riempiono le oscurità. Per un qualcosa che si ferma nel tempo. In mezzo al mondo, e al disagio.

Come se tutto questo avesse potuto emergere. Ancora. Ancora. Come una storia senza fine.
Senza lieto fine, purtroppo.
Ma senza fine, per fortuna.


...e mi fa ancora ridere quando quello ci è passato vicinissimo, hai aperto gli occhi nel dormiveglia, hai controllato il tuo marsupio, e gli hai fulminato le Nike.
A parte che russi. :)

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